"STARE CUM LOCO ET FOCO"
L'emigrazione
verso l'Istria dalla Carnia e dal Friuli
Durante l'Età moderna la penisola istriana era soggetta ad un forte processo di depopolazione che era stato causato da molteplici fattori come le continue ondate di peste e altre epidemie, la guerra della Lega di Cambrai del 1508 e la Guerra di Gradisca del 1616. Nelle zone interessate direttamente da questi fenomeni la popolazione era stata decimata o in certi casi era sparita del tutto lasciando enormi spazi urbani e rurali vuoti e potenzialmente depauperati. Questo fatto aveva causato la preoccupazione sia della Repubblica di San Marco che delle autorità feudali che amministravano la Contea di Pisino. Per quanto riguarda i veneziani i progetti erano decisamente di grande portata e l'idea di base era quella di fare dell'Istria una nuova Puglia, ovvero di creare una zona agricola florida che avrebbe rinpinguato le casse dello stato veneziano con le tasse e con tutto l'indotto che si poteva creare con un economia dinamica e prosperosa. Per attuare progetti di questo tipo c'era bisogno di ovviare alla mancanza di popolazione attiva che era diventata endemica per l'Istria[1]. Dal punto di vista della teoria economica possiamo dire che il vero capitale per chi governava l'Istria non era il territorio ma la popolazione che era esigua e per questo motivo c'era bisogno di importare nuovi abitanti che avrebbero reso a questi progetti. Il bacino di provenienza delle migrazioni verso la penisola istriana era in sostanza il territorio della Repubblica di Venezia e in parte le aree limitrofe sotto il dominio degli Asburgo e dell'Impero ottomano. Il criterio etnico o nazionale non era sicuramente determinante e in special modo la Repubblica di Venezia non ne teneva conto giacché la grande stagione della formazione del concetto moderno di nazione e dello sviluppo della coscienza nazionale non era ancora iniziato o per meglio dire era ancora molto lontano dalla Weltanschauung degli uomini e delle donne che abitavano quest'area e l'Europa in generale. L'unico criterio importante per le autorità secolari ed ecclesiastiche era quello dell'appartenenza alla fede cristiana cattolica.[2] Se la religione dei nuovi arrivati o di colloro che volevano trasferirsi in Istria non era quella cattolica gli aspiranti doveveano convertirsi alla stessa.
Nella dicotomia tra mondo latino e slavo che aveva caratterizzato l'Istria dall'inizio del Medioevo questa nuova ondata di migrazioni ha aumentano decisamente l'elemento slavo siccome la maggior parte dei nuovi abitanti dell'Istria era arrivata dalla Dalmazia, dal suo entroterra occupato dagli Ottomani e dal Montenegro chiamato all'epoca Albania veneta. Questo è il caso dei Morlacchi, il nome dato a tutti i coloni o abitanti nuovi, che si sono stanziati in Istria in un periodo molto lungo che possiamo identificare in alcuni secoli, dal XIV al XVII secolo.[3] La loro origine è stata materia di numerose teorie anche se possiamo affermare con sicurezza che la maggior parte di loro sono Croati e in generale appartengono ai popoli degli Slavi del sud. L'area principale del loro insediamento ovvero l'Istria nordoccidentale e quella meridionale hanno mantenuto i cambiamenti dialettali tipici delle aree di provenienza della Dalmazia e del suo entroterra[4]. Comunque questa parte della popolazione istriana denota un carattere abbastanza eterogeneo a causa della diversa provenienza territoriale e dal fatto che questo processo di colonizzazione è avenuto a più riprese in un periodo di tempo abbastanza lungo. L'aumento della popolazione era di primaria importanza per Venezia e avrebbe dovuto risollevare la difficile situazione che si presentava in regione. Ai nuovi abitanti venivano fatte assegnazioni di terreni incolti o sequestrati ai vecchi proprietari ed essenzioni fiscali per un certo periodo di tempo. La situazione era desolante e costringeva la Serenissima a cerchare in tutti i modi possibili di invogliare nuovi abitanti a trasferirsi in Istria. La penisola istriana come nuova patria dove continuare la propria esistenza era appettibile non solo ai Morlacchi che nella maggior parte vi si trasferivano in grandi gruppi organizzati, guidati da qualcuno che già in precedenza stipulava le condizioni del trasferimento, ma anche a quelle popolazioni migranti come i Friulani e i Carnici che cercavano nuovi spazi e nuovi mercati per sviluppare le proprie attività e vi si trasferivano individualmente o stagionalmente. Anche gli Ebrei, come gruppo etnico e religioso distinto e minoritario, mostrarono interesse a trasferirsi in Istria e di approfittare delle concessioni fatte ai potenziali nuovi abitanti. Nel 1629 l'ebreo Emanuel Porto di Trieste, a nome suo e di altri Ebrei, supplicò il Capitano di Raspo e il Capitano di Capodistria di trasferirsi a Parenzo o in qualche altro luogo in Istria come nuovi abitanti godendo dei privileggi riservati ad essi.[5] Dieci anni dopo un'altro gruppo di sefarditi rappresentato da Salomon de Isach Benatar e Isach Israel Caragal chiedevano di trasferirsi in città con un gruppo di dieci famiglie di stati alieni e di poter liberamente professare la loro religione secondo more hebreorum e di godere dello status di abitanti nuovi. Avevano l'intenzione di costruire una sinagoga e un loro cimitero. Inoltre chiedevano il permesso di portare il cappello nero con il segno come si porta a Rovigno e in altri luoghi di questo serenissimo dominio.[6] Per lo stesso motivo, il cappello nero come segno di distinzione, qualché anno prima era stato denunciato il banchiere ebreo di Isola Salamon Coronello.[7] Le richieste degli Ebrei non hanno trovato terreno fertile presso le autorità venete e quelle ecclesiastiche in loco.
I Morlacchi che si sono insediati nel territorio della Repubblica di Venezia si identificano ancora oggi con questo nome, Morlacchi in croato Vlahi in contraposizione agli abitanti dell'Istria arciducale che si autodefiniscono Bezaki (Bisiacchi)[8] e si ritengono più autoctoni dei primi, nonostante il processo di colonizzazione abbia interessato anche ques'area rimasta spopolata e la conferma ne sono i toponimi e la patronimistica che conferma lo stanziamento di emigranti dalla Lika, dalla Krbava, dalla Slovenia e dalla Dalmazia.[9]
I coloni greci o grecizzati provenienti dai territori veneziani occupati dai Turchi, tranne che nella città di Pola, non avevano lasciato tracce importanti nel tessuto sociale istriano.[10] Nella stessa città c'era stato il progetto fallimentare di trasferirvi un centinaio di famiglie di contadini bolognesi nelle contrade e nei villaggi della polesana che si erano spopolati quasi del tutto in questo periodo.[11] Molti contadini provenienti dal vicentino, dal bassanese, dalla trevisana o dal padovano si sono inestati in varie parti dell'Istria specialmente nella zona di Portole e nell'area del Quieto. Secondo il Kandler dalle carte che aveva visto nel Castello di Sanvincenti nel XIX secolo i Grimani di San Luca avevano colonizzato il territorio del proprio feudo con nuovi coloni provenienti dal trevisano nel 1628[12]. Nello stesso periodo, 1627, anche nel territorio di Geroldia ovvero quello dell'abbazia di San Michele al Leme erano stati trasferiti coloni dalla stessa area da parte della nobile famiglia veneziana dei Cappello.[13] Il conte Bernardo Borisi aveva trasferito un folto gruppo di contadini friulani nei suoi possedimenti nei dintorni di Capodistria alla fine del XVIII secolo.[14] Per il resto non abbiamo traccia di trasferimenti organizzati di popolazioni provenienti dalla penisola apenninica verso le città e i villaggi dell'Istria. Questa corrente migratoria era continua ma individuale e molto spesso aveva un carattere stagionale. Infatti dal Friuli e dalla sua area montana, la Carnia, provenivano i numerosi artigiani e mercanti che supplivano alla quasi totale mancanza di queste attività in Istria. La loro presenza risale ancora agli ultimi secoli del Medioevo e continua fino alla seconda metà dell'Ottocento. Il loro numero e la loro presenza aumentava in base al mutare delle difficili condizioni di vita in un'area montana come la Carnia o nell'area pianeggiante sovvrafollata del Friuli. Il ripopolamento dell'Istria con i Morlacchi o con altre popolazioni aveva aperto le porte ad una presenza carnica e friulana ancora più potenziata per il semplice motivo che i Morlacchi erano nella stragrande maggioranza agricoltori e allevatori e tradizionalisti com'erano difficilmente si occupavano di artigianato e commercio. Questo tipo di tradizionalismo e inerzia sociale era tipico di tutte le società contadine preindustriali tanto più propiziato dall'assegnazione di terre fatte dal governo veneziano agli „habitanti novi“ dell'Istria che in questo modo erano diventati piccoli, medi e in certi casi anche grandi propietari terrieri. La scarsa propensione dei locali alle arti è testimoniata dal resoconto del giusdicente ovvero il Capitano del Castello di Sanvincenti ai Grimani a Venezia nel 1732; „ L'educazione de sudditi alle arti sartorie e tessitura in presente non è troppo fattibile poiché li territoriali impiegano li loro figli alla coltura della campagna , ed in Castello non ve ne sono che due quali sembrano aver inclinazione, ma presentemente sono impiegati nella schuola per apprender il leggere e scrivere, quando saranno capazzi d'ettà li farò impiegare ne lavori sudetti.“[15]
Il dinamismo sociale e imprenditoriale presente nella popolazione carnica e friulana, tipico di tutte le popolazioni caratterizzate da un forte tasso di emigrazione, non era una caratteristica dei nuovi abitanti dell'Istria provenienti dalle regioni meridionali ma neanché di quella parte della popolazione italiana, slovena o croata che si trovava nella penisola già da molto tempo. Grazie a queste prerogative i flussi migratori stagionali dei tessitori e degli artigiani carnici e friulani verso la penisola istriana erano costanti e duraturi e l'Istria era diventata una delle mete preferite specialmente per gli abitanti del Canale di Gorto e per i cargnelli legati alla filiera del tessile. Per il calzoalaio carnico Giacomo Longo nello Status animarum di Gimino dell'inizio dell'Ottocento la località di provenienza e la doppia residenza è chiara e indicativa; dal Canale di Gorto. [16] Sono molte le tracce delle famiglie migranti provenienti dalle montagne della Carnia nelle anagrafi, nel notariato e in altre fonti. Il sopranome Furlan o Cargnel[17] che veniva imposto a qualche tessitore o artigiano stagionale era diventato caratteristico di alcune aree come la polesana ancora alla fine del Medioevo. Addiritura il cognome Furlan era quello più frequente nella polesana insieme a Della Fornera, il fornaciaio o forner era un altro dei mestieri esercitati dai montanari.[18] Siccome la maggior parte dei tessitori o tesseri in Istria erano carnici il sopranome Cargnel era diventato sinonimo di questa attività. Nel Cinquecento nella maggior parte dei casi sono indicati con l'etnico come ad esempio Zanut Cargnel, Mistro Leonardo Cargnel o Daniele Furlan. Gli artisti cargnelli e furlani si insediavano nei borghi e nei villaggi dell'interno dell'Istria senza distinzione tra i territori veneziani e quelli arciducali. Spesso avevano creato nuovi villaggi e frazioni che avevano preso il nome dal loro cognome o dalla loro provenienza regionale.[19] In quei villaggi o borghi dove non erano la maggioranza spesso vivevano in zone circoscritte uno vicino all'altro allargando la loro presenza con qualché nuovo arrivo di un parente o di conterranei provenienti dalla Carnia. La loro presenza è documentata anche nelle fonti in Friuli e in Carnia; nel 1592 Catterina lasciava in eredità alcuni terreni posti nella villa di Novacco nel territorio di Montona al figlio Migel fiol di Valenti Cimador cargnillo della villa di Ovasta nel Canal di Gorto. [20] Fino al XVII secolo questo tipo di emigrazione si può definire come un'emigrazione relativamente povera ma a partire da quel periodo i carnici iniziarono sempre più ad aquisire ruoli importanti nelle comunità istriane di riferimento aumentando specialmente il loro potere economico frutto delle attività artigianali specifiche. Per allargare il giro d'affari spesso si trasferivano anche nei villaggi più piccoli dove avevano meno concorenza. Con il passare del tempo potevano allargare le loro attività cambiando tipo di mestiere o di artigianato o diventando possidenti terrieri o agricoltori. Secondo Giovanni Battista Lupieri l'emigrazione carnica in Istria risale al XVI secolo che per la Carnia „ non fu secolo di gioia e di prosperità perché ebbe non di rado a trovarsi nelle angustie e nelle avversità. Inclemenze atmosferiche, sterilità agrarie, peste, guerre, privazioni, disgrazie ebbero purtroppo a molestarla. Molte famiglie, attristite dalle patrie sciagure, emigrarono nell'Istria specialmente e nella Germania cercando migliore fortuna.“[21] Dunque la Carnia aveva una situazione non molto diversa da quella istriana e soffriva degli stessi mali. Nel 1599 Stefano Viaro decriveva cosi la Patria del Friuli ; “ Da alcuni anni in qua è talmente destruta detta Patria, che non vi è villa, che doi terzi delle case di essa, et anco li tre quarti non siano ruinate, et dishabitate...partendosi ogni giorno li habitanti di essa ( come fano) resterano tutti quelli poveri sudditi miserabili.” [22] Riguardo ai Carnici aveva scritto; „ Questa natione è di persone robuste, et molti di loro fano li dottori senza haver veduti libri. Di questi cargnelli se ne ritornano poi alle case loro il mese di luglio et d'agosto.“[23] In un documento del Settecento la migrazione stagionale dei carnici viene descritta in questo modo: “La verità fu che li Abitanti del Comune di Muina si sono sempre portati per i loro Negozj, & esercizio delle loro Arti nella Provincia dell’Istria dopo la Madonna di Settembre, & ivi si fermano fino li primi di Luglio susseguente, e ciò hanno sempre praticato, che non vi è memoria in contrario”. [24]
Le capacità, le competenze artigianali e la disponibilità di spostamento, fisso o temporaneo, era stata la caratteristica peculiare più evidente che differenziava gli istriani dell'epoca e i mistri cargnelli e furlani. Tutto il periodo dell''Età moderna era caratterizzato da una forte mobilità della popolazione, specialmente quella rurale però la maggioranza delle correnti migratorie era originata dalle montagne. La circolazione delle persone in queste aree era propiziata dalla quasi assenza dei vincoli feudali e dalla povertà di risorse agricole. La descrizione fatta dal vescovo di Cittanova Giacomo Filippo Tomasini nei suo Commentari è molto precisa e esaustiva e descrive molto bene tutte le caratteristiche di questo gruppo.[25] Anch'essi si identificavano come gruppo chiuso e particolare, salvo i casi nei quali c'era stato un forte processo di acculturazione e assimilazione nelle aree dove c'era una forte maggioranza croata. Comunque alcuni gruppi famigliari non si sono mai assimilati pur trovandosi in aree abitate da Sloveni e Croati. Il dialetto friulano delle montagne carniche era diverso dall'istroveneto e dai dialetti croati e sloveni parlati nella maggior parte della penisola istriana. I Cargnelli mantenevano l'abitudine di avere delle strategie matrimoniali dirette al mantenimento delle proprietà della famiglia cercando le mogli e i mariti ai figli presso altre famiglie di carnici in Istria o in Carnia. Ad esempio i Rovis di Gimino originari di Agrons vicino ad Ovaro mantenevano l'abitudine di trovare le mogli nel canale di Gorto e dintorni e di far allevare i figli nella patria d'origine. Una volta raggiunta l'età della ragione, solo alcuni di essi seguivano il genitore in Istria, mentre altri rimanevano in patria . Si veniva così a rinnovare, ad ogni generazione, uno stretto vincolo di parentela che, altrimenti (in caso cioè di trasferimento di tutta la famiglia, sposa e figli compresi, si sarebbe andato allentando nel giro di pochi decenni. Un altro fattore che senz'altro contribuì a mantenere vivo il senso di appartenenza alla piccola comunità di montagna era la tendenza a prendere in moglie ragazze di Ovaro o provenienti da altre famiglie di carnici presenti in Istria, capitava alle volte che fosse il padre dello sposo a combinare il matrimonio per il figlio che si trovava in partibus Istriae. Questo era il caso delle famiglie più importanti come lo erano i Rovis i quali avevano fatto fortuna con la loro attività di tessitori a Gimino nell'Istria arciducale. Nel Settecento all'interno dei vari nuclei famigliari dei Rovis soltanto nei rami più importanti c'era questa consuetudine. Chi aveva meno potere economico si sposava con le donne del luogo indiferentemente dalla loro appartenenza.
Altri carnici come ad esempio quelli di Momiano erano legati da stretti legami di parentela e i loro legami erano imperniati sulla località di provenienza che per molti di essi era la piccola frazione di Liariis e Clavais. Si sposavano a vicenda ed erano testimoni al battesimo o alle nozze dei loro conterranei. Ancora alla fine dell'Ottocento nel 1878 vediamo che il sarto Daniele Vidonis aveva sposato Maria Gottardis mentre i testimoni erano il tessitore Benedetto Ermanis di Berda e la vedova di Natale Orlando Maddalena, tutti di origine carnica. Nel vicino villaggio di Oscurus l'agricoltore Giovanni Dellosto aveva sposato Maria Braico e il testimone era Mariano Gottardis, il padre di Maria sposata con il sarto Daniele Vidonis.[26] I Gottardis, i Dellosto, i Fedel i Cleva, tutti questi nuclei famigliari di artigiani erano provenienti dallo stesso villaggio in Carnia quello di Liariis, e con questa denotazione erano spesso annotati nei libri parrocchiali. Era un'indice anche dell'arrivo recente o del fatto che mantenevano la residenza per un certo periodo in Istria ritornando spesso nel paese d'origine. Anche nell'emigrazione verso la Germania, il Friuli o altre mete esisteva una corrispondenza biunivoca tra luoghi di partenza e d'arrivo. Dunque era un modello che rendeva l'emigrazione meno difficile e più sicura. Ad esempio gli emigranti di Monaio si trovavano tutti ad Augusta mentre quelli di Lauco e di Socchieve nei dintorni di Udine. [27]Il ricordo e la consapevolezza del legame tra gli emigranti cargnelli esisteva ed esiste anche in Carnia. In una pubblicazione sul villaggio di Clavais scrive;“L’emigrazione di quel secolo portò diversi esponenti dell’ antico gruppo che antecedentemente aveva assorbito alcune famiglie con nomi propri germanici, verso il fondo valle o nei paesi circostanti o addirittura in lontane contrade: a Senosecchia, a Momiano, in Cossana, a Clana, a Costabona, a Bogliuno[28] (Pisino), dove formarono gruppi attivi di imprenditori, di artigiani, di lavoratori. Sono i cosidetti ” Fedele d’Istria" ai quali vanno aggiunti altri cognomi come i Cleva; alcuni rientrarono in paese anche dopo due,tre secoli. “ [29] Il primo Fedel a Momiano documentato era un certo Giobatta Fedel il quale nel 1639 aveva mandato una supplica al Capitano di Capodistria. Dunque una fitta rete di rapporti personali, le competenze nell’artigianato, la stagionalità, il legame con i luoghi di provenienza, l’investimento nei beni fondiari sono le caratteristiche più evidenti di questo flusso migratorio. L'emigrazione carnica in Istria, in special modo quella legata alla filiera del tessile ovvero ai tesseri, non era un'emigrazione povera al contrario di quella dei materialisti o cramars che si dirigevano verso l'Austria o le terre tedesche. I telai e le conoscenze, la tecnologia e il know how, il saper fare dei cargnelli avevo un mercato e poteva ottenere buoni guadagni nel territorio istriano. La filatura fatta in casa dalle donne era poi seguita da un mestiere prettamente maschile come quello del tessitore.
Dopo la morte di Giovanni Micoli, un tesser, come si desume dall’inventario effettuato nel 1714, dei beni mobili ed immobili[30] delle sue proprietà a Pinguente: «Possedeva un laboratorio di sarto dotato di due telai e di tutto l’occorrente per confezionare tessuti che quasi certamente venivano poi venduti in bottega. Inoltre riscuoteva affitti, per lo più in prodotti dalle numerose soccide.[31] Quella di Giovanni Micoli rappresenta pertanto un’emigrazione non necessariamente povera. Dall’epistolario di Giovanni Antonio (ben 161 lettere scritte dal 1781 al 1809 al fratello Giovanni, che viveva a Mione; a queste si aggiungono le risposte, le missive ad altre persone, la corrispondenza di sua madre) risulta che egli, oltre alla bottega di sarto, commerciava in stoffe e seta sia con altri mercanti sia nelle principali fiere friulane e istriane, riscuoteva affitti di terreni coltivati a vigna o a cereali, e aveva alle proprie dipendenze alcuni garzoni, e poi anche dei veri e propri collaboratori, provenienti dal Canale di Gorto o da paesi limitrofi. Queste attività e, prima ancora, il fatto che esse fossero state avviate già molti anni prima dal nonno, dimostrano che non si trattava di un’emigrazione stagionale o temporanea, come in genere avveniva per la tessitura e il commercio ambulante (durante l’inverno), o per i lavori legati all’edilizia (in estate), ma di un vero e proprio trasferimento definitivo: loco et foco.[32] Giovanni Micoli Crosilla[33] Toscano possedeva numerosi terreni a Rozzo dal 1693, a Caroiba un complesso di edifici agricoli, cantina e stalle e case coloniche con una novantina di particelle fondiarie, due grandi case a Montona.
La bottega di sarto e mezze lane di Pinguente si trovava all’entrata del borgo in una posizione ideale per il commercio. Il grosso stabile aveva anche una stalla per otto cavalli, i quali servivano ad una famiglia cosi influente e facoltosa che si spostava spesso tra l’Istria e Mione la loro località d’origine. Inoltre Giovanni Micoli prestava denaro, la somma dei crediti nel suo inventario era alta e ammontava alla cifra di 13 490 lire[34], più della metà dei suoi affari in terra d’Istria. I prestito di denaro legato all’ipoteca di terreni era una delle attività frequenti dei carnici più facoltosi ed in questo modo aumentava spesso la quantità degli immobili in loro possesso. I Micoli Crosilla Toscano erano la famiglia più importante e facoltosa della Val di Gorto, l’area dalla quale proveniva la maggior parte dei tessitori e degli artigiani carnici trasferitisi in Istria in modo stabile o stagionale. Il cognome carnico Gortan indica appunto l’appartenenza geografica ed è molto diffuso in Carnia e in Istria, nelle sue varie forme come Gortani, Guartana o Gortana. Nel dialetto locale si usa il nome di Canal di Guart.
Tra le famiglie della Val di Gorto che si distinsero in epoca moderna c’erano i De Corte di Ovasta, specializzati nel commercio nelle terre interne dell’Impero, in particolare ad Odemburgo[35] ed i Rovis di Agrons, che avevano raggiunto un notevole benessere grazie all’attività artigianale sviluppata a Gimino, nell’Istria arciducale . Insieme a queste ci sono anche gli Spinotti di Muina legati a Grisignana, i Micoli Crosilla Toscano di Mione legati a Pinguente e i Lupieri di Luint residenti per un certo periodo a Sanvincenti. L'importanza assunta dalle attività commerciali ed artigianali si accompagnava ad un crescente ricorso ai prestiti, erogati da singoli privati oppure dalle confraternite locali chiamati livelli e che servivano spesso a portare in porto le varie imprese dei contraenti. Nel Libro della Confraternità di San Rocco di Cella e Agrons sono numerosi i livelli concessi a Francesco Rovis di Agrons, attivo in Istria come tessitore a Gimino , tutti redatti tra aprile e settembre il periodo nel quale era in Carnia. Della stessa fraglia faceva parte Giovanni Micoli, il quale è l’unico ad essere indicato con il titolo di Eccellentissimo ser Domino e svolgeva il ruolo di sindico della confraternità.[36] Dunque spesso il denaro che serviva per fare gli acquisti delle mercanzie o il capitale necessario per un’impresa artigianale in terra straniera arrivava dalle confraternite locali che ipotecavano qualche bene immobile. Queste famiglie, tra le più facoltose, appartenenti alla cosidetta borghesia alpina si vantavano di possedere beni immobili o grandi proprietà in Istria ed era una questione di prestigio per loro. L’impresa era collettiva e vi partecipavano tutti i membri della famiglia chiamati casa o consorti per indicare delle imprese gestite da famiglie allargate i cui membri avevano un antenato in comune come nel caso dei Rovis o di altre famiglie. Tuttavia chi frequentava abitualmente altre regioni, oppure vi risiedeva per certi periodi, o addirittura decideva di trasferirsi in via definitiva (stare cum loco et foco, cioè fissare stabilmente il proprio domicilio e la famiglia, il focolare, in un determinato luogo), non necessariamente apparteneva a famiglie potenti o a casate illustri, talvolta si trattava di impiegati, di servitori, di subalterni a vario titolo, che seguivano i propri datori di lavoro e poi li abbandonavano per dedicarsi ad un’attività in proprio o comunque per cercare fortuna nella terra di adozione. Oppure si trattava di maestranze qualificate, ad esempio nel settore tessile, che trovavano nuove opportunità in un tessuto produttivo, come quello istriano, ancora arretrato, e quindi avido di innovazioni.[37] „Nei casi delle famiglie molto ricche e con più eredi maschi, una volta impiantata una base di partenza nascevano e si diramavano sul territorio nuovi negozi. Si creava così una solida rete di vendita. Se le imprese erano meno forti era consuetudine diffusa l'assocazione tra più famiglie non necessariamente dello stesso villaggio di provenienza. L'organizzazione dell'impresa mercantile era finalizzata al consolidarsi della ricchezza della casata più che del singolo. La struttura del negozio doveva allora essere regolata da vincoli rigidi, che garantissero la continuità per generazioni . Non poteva essere altrimenti: il sistema successorio infatti avrebbe, nel giro di pochi decenni, creato le condizioni per una frammentazione del patrimonio“[38]. Una situazione di questo genere la possiamo trovare nel caso della famiglia Rovis a Gimino dove nel giro di un secolo e mezzo era chiara la suddivisione e la diversificazione dei vari rami famigliari. Alla lunga questo sistema poteva portare alla quasi totale perdita del potere economico della famiglia. In effetti i Rovis di Gimino nella prima metà del Novecento né sono una conferma. Chi voleva portare avanti un proprio sistema di lavoro o commercio si stacava in parte dalla casa non partecipando più all'impresa collettiva. „Quanti disattendevano a questi doveri, con una pratica della mercatura poco attenta, venivano espulsi dal circuito economico attraverso la liquidazione della loro parte di eredità.“[39]
Dall'analisi del Catasto franceschino del 1820 si evince con chiarezza che l'emigrazione carnica in Istria non era sicuramente un'emigrazione povera giacché sono tantitissimi e capillari in tutto il territorio istriano i casi di cargnelli possidenti di terreni e altri immobili. Molto spesso i mistri cargnelli erano tra le persone più abbienti dei villaggi o dei borghi dell'interno dell'Istria. I legami di parentela e la stessa origine regionale erano il collante che manteneva viva e dinamica questa comunità di emmigranti. Non è così scontato che essi avessero dipendenti o soci carnici: la manodopera locale era più facile da selezionare e non vi erano problemi logistici (si pensi ai disagi che comportava anche un viaggio non particolarmente impegnativo come quello dalla Carnia all’Istria) o diplomatici (in varie occasioni Giovanni Antonio Micoli si trovò in difficoltà a gestire o licenziare conterranei che gli erano stati raccomandati, o addirittura parenti) tuttavia è un meccanismo classico che tutt’oggi ritroviamo con forza in tutte le comunità d’immigrati sparse nel mondo quello di rafforzare la propria componente etnico-religiosa quando si è in terra straniera. Ad esempio Pietro Rupil a Sanvincenti era il rappresentante nella gestione dei suoi affari in sua assenza del suo Padrone e Principale il signor Valentino Lupieri di Luint, un mercante carnico che aveva investito nella compravendita di terreni e nel commercio del tabbacco.[40] „ Se per sorta ti dicesse qualche cosa il tuo signor principale lui fa per il tuo bene che ti volle se ti vol conoscere perche oggi o domani che tu saraì patrone medesimo che sapia ancora comandare e farti obbedire o temere dai tuoi servi“, in questo modo scriveva Antonio Rupil in una lettera al figlio Giacomo garzone a Praga nel 1771. Il „padrone“ aveva con i suoi dipendenti un rapporto paternalistico e all'interno della famiglia si riflettevano gli stessi schemi di ruolo.[41]
Perche andare in Istria? Quali furono le motivazioni che spinsero i carnici verso le non lontane contrade istriane? Bisogna dire che una zona di montagna come la Carnia era stata da sempre interessata da una forte emigrazione stagionale come tutte le aree montane dell'Italia e del Mediterraneo in generale. „La risposta è per certi aspetti simile a quella riguardante i toscani: vi era un territorio non disprezzabile e l’opportunità d’investire risorse e capacità per fornire merci, servizi, professionalità, che lì erano carenti, e senza che vi fosse una concorrenza agguerrita, traendone profitti superiori a quelli possibili nel paese d’origine. Insomma, un’emigrazione «di tipo imprenditoriale, vale a dire quella che, godendo di un capitale iniziale, si concentrava su tutta una rete di industrie dalle quali ritraeva non poco guadagno, rivolgendosi ai benestanti, ossia quelli che nei casi di carestie non soffrivano certamente la fame, ma che anzi attuavano precise speculazioni economiche che permettevano il progredire dell’azienda“. [42] Questo era sicuramente il caso delle famiglie più influenti che nell'Istria vedevano un'occasione per fare investimenti fondiari favorevoli anche a causa della sproporzione dei prezzi di mercato dei beni fondiari che erano in rapporto uno a sei in favore dell'Istria. In un territorio come quello istriano dove il dinaro è rarissimo e si trova concentrato e sepolto nelle mani di pochi possidenti dove lussi, commerci , arti o manifatture non lo mettono in circolazione e dove l'agricoltura era un'agricoltura di sussistenza il valore dei fondi era basso.[43] Dunque conveniva eccome investire in Istria tanto più che il denaro erogato dalle confraternite sotto forma di livello o da qualche altra fonte di credito era disponibile e un ottimo mezzo per guadagnare. D'altra parte c'era la debolezza strutturale dell'economia istriana e la crisi del mondo contadino che faceva vendere ai residenti istriani i terreni o altre proprietà anche a causa dell'indebitamento. Il prestito ad usura esercitato dai carnici poteva finire con l'aumento delle loro proprietà in caso di non adempimento agli obblighi della restituzione del denaro prestato. Giovanni Micoli aveva descritto in questo modo la situazione nell'area del pinguentino;“...io pure di presente me la passo passabilmente, ma sempre con continuo tormento delli contadini che di continuo mi molestano, chi per soldi e anche perche tutti a furia vendono beni e da quelli che avvevo di avere ho doutto tore beni; ed a molti tore ad impegno piantade e darli anche soldi; che ora sono arivatto sino alle tre mille e cinquecento tra di pegni e di aquisti […] che se vi fosse soldi in quest’anno si potrebbe acquistare beni quanti si vorebbe […] In Istria e massima nel capitanatto la giente morono dalla fame, e si cibano di radici d'erbe de pratti, e di giande e genepro, e non puono regersi in piedi; che sono ridotti scheletri, e ne more molti che si dubita di qualche solevazzione, e lì più buoni fanno li ladri, che oggi è statto posto in prigione il figlio di Mattio Bratetich detto Cheghich che sta sotto la Chiesa di Tutti Santi; che a noi conbateva la botte suo padre, e per le strade non si fidano d’andarvi; ma sono compatibili; perché essi esibiscono beni, ma veruno non volle comprare, perché non hanno soldi.“ Dunque una situazione difficile che poteva andare a vantaggio di colloro che avevano i mezzi per approfittare di una situazione del genere. I tessitori, gli artigiani di vario genere, i contadini carnici presenti in Istria non se la passavano sicuramente cosi bene come i Micoli Crosilla Toscano che sono sicuramente gli esponenti più importanti di quella che potrebbe essere definita l'emigrazione della borghesia alpina, non solo abbiente dal punto di vista economico ma anche colta e istruita.Gli esponenti di queste famiglie studiavano all'università di Padova medicina o giurisprudenza e almeno uno dei fratelli era assegnato a tale tipo di carriera mentre altri invece si dedicavano alla gestione dell'azienda o della casa di famiglia. La stratificazione sociale c'era anche all'interno di questo gruppo ed era evidente, nel comune di Caroiba vicino a Montona i Micoli Toscano possedevano case coloniche, cantine, stalle per 16 bovini, 7 cavalli, 30 animali lanuti mentre l'agricoltore carnico Giacomo Spilotti nel vicino villaggio di Mocibobi possedeva una casa di abitazione coperta da paglia.[44]
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Quali erano le caratteristiche di questo tipo di emigrazione? Dalla Carnia partivano due distinte correnti migratorie . La prima, e più consistente (che coinvolgeva il 29,7% dei maschi adulti) proveniva dai villaggi dell'alto Gorto e della Valcalda, dalla valle del But , il flusso era indirizzato in modo preponderante a nord, verso gli stati della Corona asburgica e le regioni della bassa Germania (Baviera, Franconia, Salisburghese, Württemberg); era costituita pressocche completamente da mercanti. Costoro venivano chiamati cramars o materialisti. La seconda corrente migratoria, meno consistente , si avviava dalla valle del But sotto Randice, dalla conca tolmezzina, dalla val del Lago, dalla val Tagliamento, e dal basso Gorto, aveva per mete pressocche universali la pianura friulana, l'Istria veneta e arciducale , il Trevigiano e i due principati vescovili di Trento e di Bressanone. Essi erano artigiani: in particolar modo praticavano mestieri legati alla filiera del tessile e dell'abbigliamento (tessitori, cardatori, sarti, cappellai). Nella tessitura i carnici godevano di buona fama da lungo tempo e questo era sicuramente uno dei motivi che poteva favorire l’emigrazione stagionale. Infine, vi erano villaggi con specializzazioni particolari, in cui abilità acquisite conservate e tramandate di padre in figlio, davano esiti notevoli in perizia apprezzamenti e guadagni. All'estremo lembo del Canale di San Canciano, nella piccola villa di Pesariis, si sviluppò dalla fine del Seicento l’arte di costruire orologi da torre, da sala, da tasca, lavorando ed innovando nella farla ingranaggi e meccaniche, esportandoli poi in Friuli, Istria, Bellunese.[45] Con commesse di lavoro sia in Dalmazia e nelle Bocche di Cattaro. Il villaggio di Paularo era caratterizato dagli arrotini che svolgevano questa attività come ambulanti. L'emigrazione carnica verso l'Istria e verso altre zone era un'emigrazione invernale terziaria e in certi casi poteva diventare definitiva, loco et foco. Gli uominii partivano dai loro villaggi in autunno, prima che la neve chiudesse i valichi alpini; ritornavano a primavera inoltrata, quando le strade erano ridivenute praticabili. Ma non si trattava sempre di un ritorno annuale: i soggiorni avevano durata più o meno protratta a seconda dei mestieri e dove e quanto lontano dalla patria esercitati, e diversa in dipendenza dalle congiunture economiche. In alcuni villaggi nei mesi invernali più della mettà dei maschi adulti emigravano verso le terre tedesche o verso l’Esterai cio’è l’Austria. Dettavano le procure, si redigevano i testamenti prima di intraprendere il nuovo viaggio. Contraevano i livelli e i prestiti da parte delle confraternite con l’ipoteca sui propri terreni. Per aggirare il divieto di usura imposto dalla chiesa cattolica, i prestiti venivano dissimulati mediante l'artificio giuridico del contratto di livello, che presupponeva una sorta di ipoteca su un bene mobile. I terreni a coltura (2720 ha, il 2,3% del totale) erano caratterizzati da elevata frammentazione e polverizzazione fondiaria, da un assetto proprietario che rimase statico ed immutabile nei secoli, e da uno spropositato prezzo delle particelle. Aumentò di conseguenza, il prezzo delle terre, che restò in Carnia più elevato rispetto alla ben più fertile pianura friulana. Rispetto all'Istria il rapporto era uno a sei. Dal Cadore e a da altre aree limitrofe c'era un altra corrente migratoria che sostituiva nei lavori agricoli i carnici residenti temporaneamente all'estero. Una delle conseguenze dell'emigrazione era la stratificizaone sociale all'interno delle comunità di villaggio che si era intensificatà tra il Seicento e il Settecento. Era aumentato il divario tra le famiglie più agiate ( mercanti, artigiani, notai) e la maggior parte della popolazione costituita da fittavoli, braccianti, artigiani e cramars falliti, mendicanti e altre persone ai margini della società.[46]I carnici imparavano a leggere e scrivere, semplici conti commerciali che gli potevano servire per le loro attività inoltre dati i legami con la zona d'origine e la stagionalità del loro tipo di emigrazione mantenevano rapporti epistolari con i parenti o gli amici residenti nei piccoli villaggi alpestri della Carnia. C'era un buon sistema di scuole di villaggio a gestione privata o la presenza di qualché cappellano-maestro dove si potevano apprenedere le prime nozioni necessarie per l'attività futura ed erano aperte sia ai maschi che alle femmine. La corrispondenza a causa della distanza era per la maggior parte epistolare. Molti di questi documenti sono rimasti negli archivi privati della famiglia Micoli Toscano o in quello dei Lupieri di Luint. Questo era il caso della corrispondenza epistolare tra i fratelli Micoli[47] o tra Giobatta Lupieri e don Osvaldo De Caneva (Liariis 1823-Fasana 1908) figlio di Marco Antonio emmigrato a Torre di Parenzo e di Giovanna Declich di Visignano, il quale aveva soggiornato a lungo nella casa dei Lupieri a Luint.[48] Erano molti i carnici in Istria che prendevano i voti e sceglievano la carriera ecclesiastica.
Cosa ci conferma i legami dei carnici in Istria e la loro presenza? Nei libri parrocchiali ad esempio? L'indicazione del luogo di provenienza segnala una presenza stagionale o recente, l'esercizio delle stesse professioni ( il tessitore), la ripetizione dei nomi personali non caratteristici per la popolazione istriana dell'epoca (come Giovanni Battista[49], Valentino, Daniele), la loro presenza come testimoni ai battesimi e ai matrimoni dei loro conterranei[50], le varie strategie matrimoniali di mantenimento del patrimonio[51] e la presenza degli stessi cognomi nei luoghi d'origine. Antonio De Colle, dalle anagrafi e da alcuni documenti in suo possesso custoditi per lungo tempo da singoli privati[52], aveva trovato 192 cognomi carnici e friulani presenti nel territorio di Visignano, San Vitale, Mondellebotte e Monpaderno per un periodo che va dal XVI al XIX secolo. I mestieri praticati da loro erano muratori, calzolai, straccivendoli, tessitori, fabbri, sellai, tagliapietre, taglialegna, sarti, carretieri, agricoltori e osti. Anche nei villaggi piccoli e nelle loro frazioni a maggioranza croata la presenza di questo elemento artigianale era cospicua. De Colle dice che a Monpaderno c'erano sempre artieri dalla Carnia. Per alcuni conclude che avevano perso la loro identità di provenienza molto probabilmente perché si erano già assimilati all'ambiente croato che li circondava.[53] L'indicazione cargnel o furlan era più che chiara e significava la chiara origine dei singoli individui.[54] Gli artigiani di queste aree si sono insediati in tutte le parti dell'Istria fino alle aree limitrofe della Croazia e della Slovenia. Alcuni borghi o villaggi erano sicuramente più caratterizzati da questi flussi migratori. Tra questi i più importanti erano Visignano, Momiano, Buie, Grisignana, Sanvincenti, Gimino, Caroiba, Corridico, Antignana, Villanova di Parenzo, Verteneglio, Lindaro e Montona. In questi luoghi c'erano delle vere e proprie colonie di cargnelli mentre c'erano anche singole famiglie in aree compattamente croate come i Triscoli nel villaggio di Sbandati, i Gerometta a Monspinoso o i possidenti De Franceschi a Moncalvo di Pisino o i facoltosi Giorgis come unica famiglia carnica a San Pietro in Selve. Nei libri parrocchiali ritroviamo moltissimi cognomi che però non si sono fermati a lungo nelle singole località istriane e spariscono dalle anagrafi proprio a causa del carattere stagionale della loro permanenza. Nel 1816 dopo il ritorno dell'Istria sotto gli Asburgo in un rapporto delle nuove autorità austriache viene ancora evidenziato il carattere stagionale della loro presenza in alcune località come Barbana; „ ...vi sono tre tessitori, due fabbri, due sarti e quattro muratori, tutti però foresti che annualmente si portano nella loro patria in Carnia.“ Nel distretto di Buie tra gli abitanti del contado erano di villica condizione i provenienti dalla Croazia, Dalmazia e Cragno e c'erano anche molti provenienti dal Friuli e dalla Cargna.[55] Da un'indagine della Reale società geografica italiana del 1922[56] che si era basata tra l'altro sugli studi fatti da Gianandrea Gravisi[57] qualche anno prima nelle campagne istriane era stata confermata la presenza di questo fenomeno in quasi tutte le località prese in questione basandosi sull'onomastica. Gran parte di questi cognomi sono sicuramente friulani e carnici anche se questo non era sicuramente il criterio d'indagine. Infatti le nuove autorità italiane volevano appurare la presenza di persone che portassero un cognome italiano o simile in un'area a maggioranza slovena e croata. Il fatto che una persona portava un cognome italiano non voleva dire per forza che questa era di nazionalità italiana siccome anche tra gli Slavi dell'Istria si erano diffusi i sopranomi o i nomignoli italiani che con il passare del tempo e per differenziare i vari rami famigliari potevano diventare cognomi. A livello linguistico non si potevano sicuramente definire italiani molti furlani e cargnelli che avevano come lingua d'uso lo sloveno e il croato indiferentemente dal loro cognome, dall'attività svolta o dalla loro origine. Inoltre la toponomastica nel caso istriano sicuramente era soggetta a numerosi cambiamenti e molti villaggi, frazioni, casolari e altri toponimi sono cambiati nel tempo.[58] Nel 1820 nel territorio di Montona c'erano persone che portavano il cognome Tignanaz e D'Antignana, dunque provenivano dalla stessa località non molto distante e abitavano nelle campagne che erano linguisticamente miste mentre la loro area d'origine era compattamente croata. Le dinamiche degli spostamenti all'interno della penisola istriana durante l'Età moderna erano frequenti verso tutte le direzioni, sia verso le città della costa come Rovigno sia tra varie località dell'interno. Le scarse risorse delle realtà istriane di Antico regime non davano lo spazio ad un aumento demografico consistente, quando la terra non bastava per sfamare i figli o l'attività artigianale era in calo bisognava cerchare altri luoghi dove trovare migliore fortuna. La polverizzazione dei patrimoni propiziata dalla divisione delle propietà era una delle cause. L'agricoltura istriana era un'agricoltura debole che in molti casi some unico prodotto in eccedenza presentava il vino e una strutturale mancanza di produzione cerealicola. La pastorizia era un buon investimento perché dava i risultati più sicuri.
I sopranomi non sono sempre un valido segnale di ricerca storica specialmente in un territorio multietnico e linguisticamente complesso come l'Istria. Nel borgo di Sanvincenti e nel vicino sottocomune di Smogliani alcuni sopranomi erano stati aquisiti come dote nuziale, il cognome aggiunto, come Toffolin per le famiglie Preden[59], Follo per i Zivolich, o come sopranome ad esempio Scaramella[60] nel villaggio di Bocordich[61] e Roveria, o sopranomi come Furlanich per i Mazzan, Marangon per i Smoglian, Spaletta per Antonia Valentich e Bradamante portato dai fratelli Mico e Ghergo Salambat. In un atto notarile questo sopranome una ventinna d'anni dopo viene indicato come cognome per Matteo Bradamante.[62] I sopranomi delle varie famiglie Rovis di Gimino che con il passare del tempo erano diventate veramente numerose sparse non solo nel borgo ma anche nei villaggi del territorio erano sia italiani che croati come Fracanasso, Cargnelich, Politico, Pagniok, Rossich, Battistut, Valentincich, Battistin, Bobich, Cressina e Turus. Per quanto riguarda alcuni cognomi derivati da sopranomi difficilmente ci possono indicare l'origine o l'appartenenza di alcuni individui, questo è sicuramente il caso del territorio di Villanova di Parenzo nel quale nel 1820 erano possidenti i contadini Lorenzo Nason, Giovanni Panzon e Giovanni Questa.[63]
Il villaggio di Sberlini nei dintorni di Pisino era stato fondato da tessitori oriundi dalla Carnia, il loro cognome originario Sberlin è rimasto come toponimo (Žberlini) mentre le famiglie di emigranti carnici avevano aquisito la variante croata dialettale del cognome Tesser ovvero Kalac (Tkalac).[64] Ancora alla fine dell'Ottocento molti tessitori continuvano la loro attività come Mariano Gottardis e Antonio Candotto a Momiano, Antonio Gottardis a Tribano[65] Petrus Corva di Pelagio ex Carnia e suo fratello Giacomo a Sanvincenti. Daniele Vidonis di Momiano[66] e Giacomo Vernier di Sanvincenti[67] facevano i sarti. Il padre di Giacomo e Pietro Pelajo Corva ex Carnia era un tessitore ma anche un mercante, infatti da una licenza d'imbarco del 1799 sappiamo che esportava in Carnia pellami, formaggi, orzo, generi di lana e tela.[68] Abbiamo tracce di questo tipo di artigianato quasi fino alla Seconda guerra mondiale anche se verso la fine del XIX secolo il declino di queste attività lavorative era già in atto.
L'onda lunga di questo flusso migratorio verso l'Istria si era spenta nella seconda metà dell'Ottocento per vari motivi. Con l'inizio della produzione industriale di tessili, l'apertura nel 1739 dello stabilimento di Giacomo Linussio a Tolmezzo che aveva in parte occupato le maestranze legate alla filiera del tessile, l'apertura di nuove aree di emigrazione verso la Germania settentrionale e alcuni paesi del centro e dell'est dell'Europa, l'emigrazione oltreoceano. Verso la fine dell'Ottocento questo tipo di produzione era stato espulso dai circuiti economici perché non era più concorrenziale sul mercato; „ I numerosi tessitori della Carnia non potevano reggere alla concorrenza dei telai meccanici poiché ai rozzi, forti e costosi loro tessuti erano preferiti dalle famiglie i candidi, ma pur esili filati di cottone a tre braccia al franco le splendide stoffe di poca durata.[69]“ Spesso gli emigranti friulani erano impiegati nel settore dell'edilizia e nelle grandi opere pubbliche. I trasferimenti individuali di questo tipo di maestranze erano continuati per tutto l'Ottocento muratori, scalpellini o tagliapietre friulani trovavano facilmente impiego in Istria dove queste attività a causa della disponibiltà di materia prima erano floride.[70] Secondo il De Colle nel territorio di Visignano questo fenomeno era durato fino al 1890 circa, non soltanto dal Friuli ma anche i trasferimenti temporanei o fissi di artigiani e mercanti da altre località istriane. Sicuramente gli artigiani e i mercanti, non legati alla proprietà terriera erano quelli che più facilmente si spostavano da un luogo all'altro allargando il giro d'affari o cercando nuovi mercati. Il sarto Bernardo Rovis di Monpaderno possedeva una casa ad uso proprio anche a Caroiba, una località distante una ventina di chilometri, dove molto probabilmente lavorava in alcuni periodi dell'anno quando aveva commesse in loco. Altri membri della famiglia Rovis di Gimino facevano i tessitori ad Antignana o dall'altra parte dell'Istria a Chersano.
Un'altro tipo di emigrazione era rappresentato da professionisti o imprenditori che nell'Istria vedevano uno sbocco per le loro attività come Tommaso Sottocorona di Collina (Collina 1834-Dignano 1902) che a Dignano aveva aperto il primo stabilimento per la bacchicoltura in Istria. Era arrivato a Dignano giovanissimo su invito dello zio materno Pietro Candido[71] propietario di un mulino e un torchio per la lavorazione delle olive. Dopo aver aperto una piccola industria libraria in paese aveva fatto fortuna con il suo Premiato stabilimento bacologico T. Sotto Corona aperto nel 1857. Era stato membro della Società agraria istriana e di altre organizzazioni politiche e agrarie dell'epoca. Manteneva uno stretto rapporto con il villaggio carnico d'origine al quale aveva anche donato 200 lire per la costruzione della stazione ferroviaria del paese. Nel 1883 era diventato proprietario del castello di Lupogliano già prorietà degli Eggenberg di Gradisca e dei Brigido di Trieste. Dopo la sua morte lo stabilimento si era spento cosi come la bachicoltura nell'area, il podestà di Dignano (1909-1912) dottor Giovanni Cleva aveva cercato di intraprendere l'attività di distilazione delle erbe aromatiche senza successo.[72] Per alcune nicchie di mestieri i carnici vantavano una tradizione che risaliva ancora all'esperienta fatta come materialisti di medicinali nelle terre tedesche in passato, il farmacista di Tolmezzo Giovanni Antonio Rainis[73] (Tolmezzo 1823- Cittanova1872) appena laureato all'Università di Padova si era trasferito nella piccola cittadina costiera di Cittanova dove aveva svolto la sua attività. Per alcuni decenni la città non aveva un farmacista e Giovanni Antonio vi aprì la farmacia „All'esculapio“ nel 1857. Aveva sposato Maria Concetta Cleva di Parenzo dalla qualle ebbe una numerosa prole per la quale aveva costruito una villa in stile eclettico vicino al mare in zona Santa Lucia ancora oggi esistente. Un anno dopo la sua morte in mancanza di una farmacia a Cittanova la vedova Maria Concetta aveva aperto l'attività senza licenza a causa del fatto che non si trovavano aquirenti disposti all'acquisto in denaro.[74] I discendenti avevano continuato l'attività nella vicina Buie. Nuove professioni e competenze si erano sostituite alla tradizionale tessitura e ad attività artigianali che erano già in forte declino.
L'EMIGRAZIONE DELLA BORGHESIA ALPINA DEL CANALE DI GORTO ( LE FAMIGLIE ROVIS, MICOLI CROSILLA TOSCANO, LUPIERI E SPINOTTI)
I ROVIS A GIMINO (XVII-XX secolo)
L'area dell'emigrazione carnica era molto vasta e lo spostamento verso l'Istria era soltanto una parte di questo largo fenomeno che andava da Ferrara e Venezia fino a Sopron in Ungheria, da Salisburgo in Austria fino all'Istria o a Karlovac in Croazia. Come è già evidente dall'analisi delle fonti storiche l'emigrazione dei cargnelli in Istria non era un'emigrazione povera o almeno non lo era in quella sua parte nella quale si spostarono verso l'Istria i membri delle famiglie più importanti e facoltose delle valli carniche. Anch'essi in parte costretti a cerchare di allargare il propio giro d'affari al di fuori della Carnia, la dove le condizioni lo permettevano. La famiglia Rovis[75] a Gimino era presente dalla prima metà del XVII secolo quando i figli di Francesco di Giacomo Rovis provenienti da Agrons[76], originari però dalla vicina località di Claudinico, vennero in questo borgo nel centro dell'Istria il quale era per la sua posizione geografica, a metà strada tra la parte settentrionale e meridionale della penisola e a poca distanza dalle coste orientali e occidentali, un emporio importante per i commerci e l'artigianato. Il largo comune di Gimino era anche densamente abitato al contrario di altre parti dell'Istria che non si potevano sicuramente vantare di queste caratteristiche. Nella prima metà del XIX secolo il borgo contava 534 anime e tutto il territorio con San Matteo e Montecroce 3226. [77] La prima traccia dei Rovis a Gimino la troviamo nella lista dei membri della Confraternità di San Giovanni Battista della quale faceva parte Tommaso de Rovis nel 1641.[78] Nel 1613 Francesco figlio di Giacomo Rovis di Cludinico sposò Maria del fu Giacomo Jacomutti di Agrons, ultima discendente di una famiglia feudale che portava in dote una cospicua serie di beni che furono presto venduti (nel 1615), probabilmente per far fronte alle spese relative ad un’attività commerciale incipiente. La passione amorosa o la cospicua dote di Maria Jacomutti dovevano essere state un motivo sufficiente perché Francesco Rovis ignorasse il divieto paterno di sposarsi con lei. Per aver disubbidito al padre, però, Francesco fu diseredato, come si evince dal testamento che Giacomo Rovis dettò nel 1620, precisando che il figlio ribelle doveva “essere escluso in perpetuo […] perché esso è stato disobediente, et maritato senza licenza d’esso padre testatore, abandonandolo ancora, con esser andato ad habitare sopra li beni del quandam Jacomo Jaconutta de Agrons, in Generezza, et fatto commodo de beni di fortuna”. Alcuni dei discendenti di Francesco svilupparono attività commerciali tra la Carnia e l’Istria, com’era comune nelle famiglie carniche dell’età moderna. I loro affari si dividevano, concretamente, tra la Carnia e l’Istria imperiale. Parte dei Rovis di Agrons, infatti, si insediò a Gimino, pur continuando a mantenere strettissimi legami con i parenti rimasti nel villaggio di origine.[79] Quest'ultimo, Agrons, era un minuscolo villaggio di una decina di case e con una quarantina di abitanti divisi in fuochi ovvero nuclei famigliari. I più importanti nella stratificazione della struttura sociale del luogo erano i Rovis, i Del Monaco (presenti in Istria a Verteneglio, Portole, Petrovia e in altre località), i Jacomutti e i Fabris, i Bulfon, i Vernier nonché un gruppo di famiglie di fittavoli e coloni anch'essi legati alle famiglie più facoltose da vari rapporti di dipendenza contrattuale. Spesso erano originari dalle aree limitrofe di montagna ed erano ritenuti foresti come il Cadore, il Canale del Ferro e le montagne del pordenonese. La prima testimonianza in questo senso è quella relativa alla morte di Maria Pascuttini, di Vito d’Asio, la cui famiglia viveva ad Agrons ed erano coloni di Giovanni Corva di Muina. Nello stesso secolo note simili compaiono anche per i membri delle famiglie Tolazzi e Gardel originarie di Moggio, della famiglia Facchin (probabilmente fittavoli dei Rovis), della famiglia Galante di San Francesco d’Asio, degli Zanier, dei Matelich di Faedis, dei Francescutti e dei Baschiera di Clauzetto, dei Longhino del Canal del Ferro, dei Toneatti di Asio, dei Marta del Comelico, dei Brovedan di Clauzetto (coloni degli Agarinis nel luogo di Poularo sotto la Veneranda Pieve), dei Rassatti (affittuari dei Corva prima e dei Rovis in seguito) o dei Maieron (fittavoli dei Rovis). Molti di questi cognomi sono presenti anche in Istria, nel caso di Gimino, ad esempio i Galante insediatisi nella campagna di Gimino. I rapporti di dipendenza sociale ed economica potevano essere trasferiti anche nella nuova patria d'addozione come nel contratto di apprendistato del 1764 nel quale Leonardo Tolazzi abitante in Gorto stipula un contratto di apprendistato per suo figlio dodicenne Antonio con Giovanni Battista del fu Francesco Rovis di Agrons. Il ragazzo rimarrà agli ordini dello stesso Rovis per sette anni, durante i quali imparerà l’arte sartoria e lo seguirà nei suoi spostamenti annuali tra la Patria del Friuli e l’Istria. Le condizioni della famiglia del garzone erano talmente precarie che il Rovis si era preso l'onere di vestire da capo a piedi il ragazzo e in cambio il contratto di apprendistato[80] era stato prolungato di due anni.[81]
A Gimino era già presente una comunità di artigiani carnici come si evince dai cognomi dalle anagrafi di Gimino della fine del XVII secolo; Battista, Della Marina[82], Della Biava, Dell'orto, Cossetto, Lupieri-Missanich, Urban[83], Vidonis, Galant, Delfabro, Dell'osto, Marini. Dal villaggio di Agrons e Cella c'era già da qualche tempo un flusso continuo di famiglie di artigiani carnici verso Gimino e lo confermano i dati delle anagrafi istriane e carniche e la presenza di queste famiglie nel luogo d'origine nel Canale di Gorto nello stesso periodo.[84] Per quanto riguarda i consorti Rovis la loro presenza era stagionale per un lungo periodo di tempo e a settembre, finita la stagione calda, partivano dall villaggio d'origine in Val di Gorto mantenendo un forte legame con le radici carniche. La scelta delle mogli e l'allevamento dei figli era legato strettamente al luogo d'origine. In questo modo avevano sviluppato una dicotomia tipica degli emigranti carnici in Istria, ovvero quella di vivere allo stesso tempo sia nella penisola che in Carnia. Pur avendo sviluppato con succeso le proprie attività come tessitori soltanto più tardi sceglieranno di trasferirsi loco et foco a Gimino. Nel periodo 1662-1714 non ci sono annotazioni di battesimi di appartenenti a questa famiglia a Gimino.[85] Nel 1710 a Sanvicenti era nata Antonia la figlia del domino e mistro Antonio Rovis e della moglie leggitima Giovanna. La coppia ebbe altri tre figli battezzati nella chiesa dell'Annunziata di Sanvincenti fino al 1718; Maria, Zuanna e Giovanni Antonio. [86] Il primo decesso di un Rovis a Gimino documentato nellle anagrafi di Agrons era quello di Giacomo di Giobatta del 1733, obijt in Domino in partibus Istriæ in loco vocato Gimino, et eius cadaver tumulatum fuit in eodem loco. Sic relatum fuit mihi. Nello stesso anno morirono a Gimino Giovanni Battista e Antonio di Giacomo Rovis.
Nella 1766 Maria Michieli moglie di Francesco Rovis nel suo testamento si era lamentata di essere stata abbandonata dai figli che avevano seguito il padre a Gimino, segno forse di un trasferimento definitivo. Soltanto il figlio più giovane Matteo era rimasto ad Agrons con la madre e per questo motivo gli aveva donato la sua parte della dote paterna. Nel 1761 Francesco aveva trovato la moglie per il figlio Giovanni Battista nella patria d'origine. Non era un caso singolare quello dei matrimoni combinati. In mancanza del padre poteva svolgere lo stesso ruolo qualche parente stretto come Benedetto Fiorencis di Sanvincenti che era intervenuto per far sposare la figlia della sorella con Giacomo di Francesco Rovis nel 1789. All'epoca la maggior parte dei matrimoni erano combinati dai genitori e dalle famiglie guardando lo status sociale, materiale o la religiosità e la buona fama della famiglia. La religiosità della famiglia viene testimoniata dal fatto che molti membri della famiglia fecero parte del clero; a Gimino morirono nel 1779 e nel 1784 i sacerdoti Giovanni Battista e Antonio Rovis; R.dus D. Antonius qm Francisci Rovis natus Villæ Agrons sed incola Gimini in partibus Istriæ per 30 et pluries annos, ætatis suæ annorum 55 circiter obijt in Domino munitus omnibus Sacramentis die 7 Aprilis proxime elapsi, sicuti mihi relatum fuit, et eius cadaver tumulatum fuit ibi ritibus sacris, et hodie publicata fuit eius mors cum solita prece.[87] Il profondo sentimento religioso lo intuiamo anche dal testamento del 1813 dove Giovanni Battista del fu Francesco Rovis di Agrons, possidente dell’età di 72 anni, dispone le sue ultime volontà prima di passare a miglior vita. Dispone che i figli dispensino 25 centesimi a ciascuno dei poveri che l’accompagneranno alla sepoltura, oltre alla solita elemosina di cibarie. Dispone anche che i figli, entro un anno dalla sua morte, distribuiscano 200 fiorini ai poveri del territorio di Gimino. Ordina ai figli di far celebrare 300 Messe nel Cantone di Rigolato entro un anno dalla sua morte e, nei venti anni successivi, altre dieci Messe nel giorno dell’anniversario.
Ad Agrons nel 1682 Matteo e Antonio consorti Rovis avevano fatto costruire una chiesetta privata dedicata a Santa Fosca, una santa molto venerata nella bassa Istria e nella zona di Gimino dove si trova una grande chiesa a nordovest del paese sulla sommità della collina gemella di Gimino alla quale la località deve anche il nome. Il denaro guadagnato dagli ottimi affari in Istria e la grande devozione religiosa dei Rovis stava alla base di un'impresa di questo tipo. Anche nella chiesa di Gimino i Rovis avevano fatto costruire a loro spese una cappella con il loro stemma raffigurante una rapa, simbolo della Carnia. Lo status sociale raggiunto in Carnia dai Rovis era stato confermato dal matrimonio di Catterina Rovis con Floreano Micoli nel 1733. Il padre Antonio era già residente in Istria ed il matrimonio con la famiglia più importante della valle era sicuramente il riconoscimento dell'importanza raggiunta dalla famiglia. Le strategie matrimoniali erano importanti e lo confermano anche il contratto matrimoniale tra Giacomo[88] di Francesco Rovis e Antonia Fachinetti di Sanvincenti del 1789[89], nel quale tutte e due le parti contraenti portarono una cospicua dote, e dal matrimonio di Giacomo di Michele Rovis e Regina di Matteo Lupieri di Sanvincenti del 1830. Continuavano a possedere beni immobili anche nella zona di Ovaro dove nel 1837 gli eredi di Francesco Rovis vendono “alla pubblica asta” a Giovanni q. Giovanni Micoli Toscano un prato con arativi, GioBatta q. Francesco Rovis vende a Giovanni q. Giovanni Micoli Toscano il prato Laudì sul monte Prencis e nel 1850 Giacomo di Michele Rovis vende a Giovanni Micoli Toscano un prato e un bosco sullo stesso monte[90]. I Rovis possedevano numerosi terreni e una ventina di edifici a Gimino tutti raggruppati sotto la piazza principale. Il giro d'affari della famiglia comprendeva una vasta area. Appartenenti a questa famiglia vivevano anche a Canfanaro dove possedevano un complesso di case e stabili. A Monpaderno c'era nel 1820 il sarto Bernardo Rovis che aveva delle attività che andavano fino al territorio di Montona dove nel villaggio di Caroiba saltuariamente svolgeva la propria attività. Lavoravano come tessitori a Pedena e a Chersano. Nelle immediate vicinanze delle loro case a Gimino c'erano le case degli Erman, un'altra famiglia di tessitori proveniente dal Canale di Gorto. Il fatto che le loro case erano ai margini del paese e che possedevano alcuni terreni nelle vicinanze, fuori dall'abitato evidenzia il fatto che in paese erano arrivati dopo i Rovis e la loro attività non era solo la tessitura e l'artigianato ma erano anche agricoltori. Gli Erman[91] sono numerosi nei vari contratti custoditi presso l'archivio dei Micoli Toscano a Mione[92].
Nel corso del tardo Settecento e del primo Ottocento, probabilmente in seguito alle mutate condizioni economiche e politiche internazionali, i rapporti tra il ramo istriano e quello carnico della famiglia si affievolirono notevolmente. Nella prima metà dell’Ottocento il ramo agronese della famiglia si assottigliò e finì con l’estinguersi, mentre quello istriano continuò a prosperare. La separazione tra i due rami non era ancora stata consumata nel 1813, quando Giovanni Battista del fu Francesco Rovis di Agrons risulta avere numerosi beni in Istria, in comproprietà con suo fratello Giacomo che viveva a Trieste.[93] Presso un Rovis a Trieste aveva pranzatto Giovanni Antonio Micoli Toscano, come si evince dalla sua corrispondenza epistolare, durante uno dei suoi spostamenti da Mione a Pinguente, riconfermando i forti legami presenti tra gli emigranti carnici. Nello stesso periodo vengone vendute alcune proprietà dei Rovis in Carnia ai Micoli Toscano. La separazione, patrimoniale e morale, tra i due rami si consumò probabilmente attorno al 1841, anno in cui Leonardo del fu Matteo Rovis di Agrons vende a suo nipote Giacomo del fu Michele Rovis domiciliato a Gimino tutti i beni di sua proprietà che si trovano a Gimino e che gli sono stati assegnati in seguito alla divisione dei beni con i suoi fratelli Antonio, Michele e Francesco. Come nel caso dei Lupieri la vendita o la permuta e la rinuncia ai possedimenti in Istria signicava la rottura dell'ormai secolare collegamento dei vari rami famigliari divisi tra le località montane del Friuli e le borgate istriane. Comunque per quanto riguarda i Rovis il potere economico e la proprietà immobiliare era in mano ad un nucleo centrale, discendente direttamente dal primo Francesco in linea maschile e forse per diritto di primogenitura, distinto nella gestione del patrimonio dai vari rami cosiddetti collaterali della famiglia.
Nello Status animarum della parocchia di Gimino nella prima metà dell XIX secolo erano numerosi i Rovis distinti per sopranomi per distinguere i vari rami siccome la famiglia si era decisamente allargata durante il Settecento. Erano moltissimi i fuochi dei Rovis raggruppati tutti nella stessa contrada. Alcuni nuclei famigliari risultano avere uno status sociale più elevato degli altri, i cittadini, molto probabilmente i possidenti sono differenziati dagli artigiani, sarti, tessitori e calzolai. Infatti tra gli abitanti del borgo troviamo Antonia Fachinetti vedova di Giacomo Rovis detto Ierolimich, cittadino, nella stessa casa viveva il figlio organista Francesco (1791-1836), Antonio e la figlia Catterina. Nello stesso edificio c'era ancora Francesco Rovis con le figlie Maria e Antonia.
In un'altra casa c'erano la vedova di Antonio Rovis detto Ignazio Anna con il figlio Francesco. Poi Tommaso Rovis (1774-1835) detto Toruz del fu Bartolomeo con la moglie Giovanna Andrias e i figli Maria e Bortolomeo. Poi c'era Rosa Rovis la vedova del muratore il fu Daniele Mengotti e i suoi 5 figli. Pietro Rovis detto Pagniok, di professione sarto e Catterina Fillich sua moglie con i sei figli; Fosca, Santa, Rosalia, Maria, Giacomo Antonio e Anna Maria. Al numero civico 64 viveva la famiglia di Francesco Rovis (1776-1865) del fu Matteo, cittadino, con la Moglie Giovanna Giorgis (1779-1854) e con il figlio Antonio. Insieme a loro viveva Leonarda Maria di Giobatta di Belle dal Friuli moglie di Antonio Rovis (1821-1857). Maria Rovis figlia del fu Giobatta Rovis e sorella di Matteo vedova di Matteo Prencis con la zia Eufemia Onofrio vedova di Giacomo Rovis. Con loro c'era la serva Fosca Starcich da Gallignana. Sempre nella stessa casa abitava Matteo Rovis di Giobatta detto Battistut sposato con Giovanna Straolino con i figli Giovanni Battista, Antonio, Giovanni Antonio, Matteo e Lucia. Nelle vicinanze stavano il fabbro Bortolo Rovis del fu Domenico e in una casa contigua Giovanni Rovis detto Rossich con la moglie Catterina Cinich. Poi nella casa di Michele Rovis (1760-1840) del fu Matteo, cittadino, c'erano il figlio Giacomo (1794-1855) con la moglie Regina Lupieri, figlia del fu Matteo Lupieri di Cargna . Quella di Michele era sicuramente una delle famiglie più facoltose dei Rovis di Gimino. Subito dopo c'era Domenico Rovis fu Bartolomeo detto Toruz (1772-1847) e la moglie Antonia Motica. Poi nella casa di Mattio Rovis del fu Giobatta detto Battistut ora di Antonio Rovis di Matteo vivevano Olivo Comin[94], di mestiere strazer, straccivendolo, sua moglie Rosa Cozarins e la figlia, oriundi dal Friuli. Maria Rovis, Politico, di Antonio viveva con il marito Leonardo Subiotto, fabbro. Giuseppe Rovis detto Turnar di Giovanni faceva il sarto, mentre Giovanni fu Francesco Turnar il calzolaio. In un'altra casa viveva un altro calzolaio; Antonio Rovis (1781-1845) sposato con Giovanna Cuhar. Il cittadino Francesco Rovis Battistut viveva insieme alla moglie Marianna Brovedan con i figli Giuditta, Valentino, e Napoleone.
Antonio Rovis viveva con la moglie Catterina Franellich e il padre vedovo Agapito e di mestiere faceva il fallegname, marangone. Maria Antonia Rovis viveva con il marito Giovanni Tassotti di Giacomo, calzolaio. In altre case dei Rovis sempre nella stessa contrada c'erano Maria Jurcota vedova di Matteo Rovis Battistin. Il sarto Andrea Rovis detto Turnar e Tommaso Rovis di Giacomo che faceva lo stesso mestiere. Matteo Rovis (1774-1857) detto Bobich era sarto e possidente ed era sposato con la conterranea Teresa Rovis (1778-1843) fu Valent di Claudinico in Carnia; la località d'origine di tutti i Rovis istriani. Il tessitore Martino Rovis detto Kargnelich da Chersano era sposato con Maria Potrat. Un altro sarto Francesco Rovis sposato con Antonia Carlovich, Maria Rovis detta Toruz sposata con il fabbro carnico Antonio Tassotti e la vedova del cittadino Valentino Rovis; Pasqua Potrat. Nella casa di sua proprietà viveva Giovanni di Francesco Rovis detto Turnar, calzolaio, sposato con Maria Crisanaz. Il caso di una famiglia allargata di queste dimensioni era sicuramente atipico per l'Istria di quel periodo, infatti difficilmente possiamo trovare un caso analogo in altre realtà istriane dell'entroterra. Soltanto a Dignano e Rovigno, che erano le città più popolate dell'Istria, c'erano esempi di questo tipo. La loro presenza e la valenza sociale ed economica in tutti i campi della società locale era la dimostrazione del ruolo che avevano raggiunto i Rovis nella loro patria d'adozione.
Degli Erman in questo periodo c'erano Giovanni Erman (178-1804) detto Vadagniel e Domenico, contadini, Giacomo Erman anche lui dello stesso mestiere, suo figlio Michele (1750-1836) che faceva il macelaio come Giuseppe Erman di Tommasso. , La vedova di Santo Erman Santa e Mattio Erman detto Sostar. Nella stessa casa vivevano il fabbro Giovanni Erman di Antonio e la moglie Maria Rovis.
Inoltre nel borgo di Gimino c'era una folta colonia di carnici che svolgevano i più vari mestieri; il tessitore Giovanni Battista Revelant[95] (1792-1845) viveva con la moglie Eufemia Raunich e con i 4 figli. Il calzolaio Fedele Carlevariis (1768-1843) sposato con Maria Modrussan possedeva una grande casa all'entrata sttentrionale al paese che più tardi diventerà l'osteria di Carlo Pelosi. Facevano lo stesso mestiere Giuseppe Battistin (1773-1839) e Giacomo Longo del canale di Gorto che viveva con la moglie Teresa e il fratello Natale. Giacomo Mecchia (1793-1838) sposato con Giacomina di Giobatta Zanier faceva il sarto come il figlio Giovanni Battista (1811-1840). Giacomo si era risposato in seconde nozze con Teresa vedova di Giovanni Cleva da Canfanaro. Viveva nella stessa casa la loro parente Elisabetta vedova di Giovanni Maria Mecchia. Lorenzo Antonio Candido della Cargna viveva nella casa di Michele Rovis e faceva di mestiere il chirurgo[96]. Il tessitore Antonio Mecchia (1796-1862) viveva con la moglie Maddalena Bearz (1799-1847) e Marianna Gonan di Giobatta (1829-1847). Giuseppe Monte viveva con la moglie e i tre figli svolgendo l'attività di fenestraio. Bortolo Cramar e il vedovo Giobatta Miss[97] dal Friuli facevano i contadini, mentre Paolo Vernier (1785-1835) sposato con Agnese Orbanich svolgeva l'arte della tessitura nel villaggio di Pamichi. In paese c'era un'altra famiglia di cargnelli che vivevano nella stessa casa i Vezzi(l)[98]; Angelo Fortunato faceva il sarto mentre la moglie Antonia Cuchiaro[99] la levatrice[100]. Era dello stesso mestiere la vedova Maddalena Vezzi nata Debegliuch, Francesco Saverio Vezzi viveva con la figlia Candida e faceva il fabbro.
Ancora nel 1892 Antonio Rovis e Giacomo Erman Bortulina facevano il mestiere di tessitori e Giovanni Rovis il sarto. Altri Erman e Rovis gestivano delle osterie tra le due guerre mondiali. Gli altri appartenenti di questa famiglia si occupavano di vari mestieri sempre nell'ambito dell'artigianato. La famiglia Rovis in Carnia si era estinta nella seconda metà dell'Ottocento mentre a Gimino erano numerosi e le famiglie con questo cognome si dovevano distinguere con i vari sopranomi. Alla fine del XIX secolo si occupavano di vari mestieri artigianali, tra questi anche quello di sarto e tessitore anche se sembra che la potenza economica della famiglia non era più quella di prima. Nel 1945 erano 16 le famiglie Rovis, 13 a Gimino paese e 3 nei dintorni, mentre i nuclei famigliari degli Erman erano 11. Insieme come numero di nuclei erano di gran lunga le famiglie più numerose di Gimino e da soli rappresentavano il 20 % della popolazione.
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I LUPIERI A SANVINCENTI
Il primo dei Lupieri[101] di Luint[102] a Sanvincenti, secondo le memorie di Giobatta Lupieri, era stato il mercante il nonno Giobatta Lupieri (1701-1752) il quale aveva fatto degli investimenti fondiari e che qui si era arricchito con il commercio di tabacco. Il padre di Giobatta, Matteo o Mattia Lupieri era un notaio e lo apprendiamo da un atto del 1700 legato alla ristrutturazione della chiesa di San Rocco di Agrons dopo il terremoto che aveva colpito la Carnia e specialmente il Canale di Gorto.[103] Il mistro e domino Matteo Lupieri era presente a Sanvincenti nel periodo dal 1710 al 1715 come testimone di battesimo in più occasioni. Dunque la presenza della famiglia in Istria risale al periodo a cavallo tra il Seicento e il Settecento. [104] Suo nipote Giovanni Battista Lupieri (1776-1871) descrive in questo modo nella sua autobiografia il trasferimento della famiglia in Istria; “Questa famiglia, di qui si hanno memorie quasi di quattro secoli, fece specialmente col commercio dei tabacchi a S.Vincenti nell’Istria qualche fortuna. Fece mio Avo paterno ( GioBatta fu Matteo) colà qualche acquisto, e qualche capitale, a vantaggio della casa paterna e della famiglia, che serbò sempre domicilio nella Carnia.” Dunque il motivo dello spostamento in questo borgo del centro dell'Istria era la possibilità di investire nella compravendita di terreni agricoli e nel commercio e nella coltivazione del tabacco che si era diffusa in quella zona. Nel corso del Settecento il commercio con il tabacco era diventato una delle attività dei mercanti carnici specialmente in Germania nella zona della Svevia. Originariamente il tabacco veniva usato a fini medici e terapeutici[105]. La Repubblica di Venezia era tra i primi governi a intervenire direttamente fin dal 1702, con l’emissione di vari decreti senatoriali che vieteranno la libera semina del tabacco, perché dannosa alla pubblica rendita. La Serenissima determinerà quindi le superfici da coltivare e i prezzi dei prodotti obbligando i coltivatori a vendere il tabacco solo a persone autorizzate dal governo. Sanvincenti all'epoca era un centro molto importante di questa parte dell'Istria, addatto per le attività artigianali e commerciali della vasta area della quale era il punto di riferimento. Il territorio era un feudo della famiglia veneziana dei Grimani i quali mandavano in loco un capitano per ammistrare le proprietà e la giustizia. Possedevano il castello, alcuni caseggiati attorno ad esso dove molto probabilmente risiedeva il capitano o qualche altro loro dipendente, alcune stanzie che affitavano fuori dal paese e i due boschi più importanti del comune. Per il resto i sudditi del castello erano proprietari assoluti dei loro beni e dunque potevano comprare e vendere a loro piacimento. Qui si apriva un spiraglio concreto anche all'investimento dei carnici i quali in questo modo si aprivano la strada della loro presenza in queste comunità.
I Lupieri erano una delle famiglie più facoltose del Canale di Gorto e i liquidi per un'impresa di questo tipo non gli mancavano di certo anche se con molta probabilità una parte del denaro era stata presa sotto forma di livello dalla locale confraternità di San Valentino del villaggio di Luint. Una fraglia economicamente forte che aveva disponibilità di liquidi. Lo conferma lo stesso Giobatta Lupieri parlando della situazione economica della famiglia, dei beni posseduti in Istria e dei crediti che la famiglia aveva contratto. Una delle conseguenze principali del vasto e durevole movimento migratorio dei carnici fu l'ampio ricorso al credito commerciale per il finanziamento delle attività delle singole famiglie o case. Essendo lo strumento creditizio preferito il livello, si veniva a creare un legame inscindibile tra emigrazione, credito e proprietà terriera. I livellarii erano sia persone fisiche sia enti; tra questi ultimi chiese e confraternite svolgevano un ruolo di primo piano, soprattutto, come si vedrà, in relazione al piccolo e medio credito.[106] La famiglia Lupieri era imparentata con i Micoli Crosilla Toscano di Mione con i Rovis di Agrons con i quali ebbero tutto un intreccio di rapporti di parentado e amicizia. Il dottor Giobatta Lupieri, definito dal testatore il mio parente e ottimo amico, era stato l'esecutore testamentario di Giovanni Battista di Francesco Rovis nel 1813 e con i Rovis di Gimino avevano stipulato altri due contratti matrimoniali. Infatti nel settembre del 1814 nella casa dei Rovis ad Agrons erano stato stipulato il patto nuziale tra il fratello di Giobatta Matteo[107] e la figlia di Giovanni Battista Rovis Giacomina.[108] Nel contratto era stata patuita una lauta dote e controdotte pagabile in parte in denaro e in parte in beni immobili. Il contratto nuziale Lupieri-Rovis di Agrons è sicuramente uno dei pochi casi documentabili di accordi matrimoniali stipulati tra le montagne della Carnia riguardanti matrimoni vissuti e consumati per intero in terra d'Istria. I luoghi di provenienza della montagna friulana erano il luogo prediletto e quasi obbligatorio dove stabilire le strategie matrimoniali e patrimoniali di queste famiglie appartenenti alla cosiddetta borghesia alpina. La madre di Giobatta era Santa Micoli (1753-1832) figlia di Floreano e Catterina Rovis. I padre di lei Floreano al momento del matrimonio le aveva elargito come dote, come d'altronde alle altre otto figlie femmine, una cospicua cifra di 300 ducati. Valentino Lupieri (1741-1812) che aveva continuato gli affari di famiglia dopo che il padre aveva inestato la presenza della famiglia in Istria aveva preso la residenza nel castello di Sanvincenti per poter liberamente svolgere i propri affari e perché lo richiedevano anche le regole statutarie della comunità che vietavano il commercio a colloro che non stavano loco et foco a Sanvincenti. Era una misura che avevano preso molte località istriane per ovviare alla presenza di contrabandieri e ambulanti vaganti non molto affidabili. Nel 1766 aveva un contenzioso con Pietro Fabris e i suoi fratelli e uno con Vido Razzan. Nel 1774 con Giure Iscra e nel 1778 contro un gruppo di contadini composto dai fratelli Salambat e Antonaz.[109] La famiglia aveva acquistato due case in paese adiacenti alla piazza le quali vengono indicate con il numero civico 3 e 5 nel Catasto franceschino del 1820, per importanza subito dopo il castello dei Grimani e la loggia pubblica, pur non trovandosi molto vicino a queste due. La casa Lupieri aveva raggiunto un status sociale di prima importanza in paese. Come possidenti terrieri in paese erano sicuramente in prima fila. Soltanto tra il 1787 e il 1789 Valentino Lupieri aveva stipulato 16 contratti di compravendita. La proprietà più importante era la stanzia di circa 10 ettari che si trovava a due chilometri dal paese con la casa colonica, la cantina e i tegori per 150 animali lanuti. Giobatta Lupieri dice che le propietà della famiglia non erano ingenti; „Nell'autunno 1793 passai col Padre, per la prima volta, a Sanvincenti nell'Istria, per assistere al raccolto dell'uva prodotta dalle poche nostre terre colà possedute. Non corsero due mesi che per effetto di qualche disordine dietetico e di traspirazione sbilanciata per disaggi atmosferici sofferti...io fui colpito da una febbre gastrico-reumatico-nervosa che mi spinse a grave pericolo. Reso alla patria io non poteva non rimettermi.“ [110] A Sanvincenti i Lupieri avevano dei veri e propri dipendenti e procuratori provenienti dalla Carnia Giacomo Gortan e il mistro Pietro di Simone Rupil il quale si era trasferito definitivamente in Istria insieme al fratello Sebastiano e più tardi svolgerà da solo le proprie attività. Anche a Luint in Carnia avevano dei coloni come il mistro Valentino Polzotto di Comeligo menzionato come testimone in un documento del 1769 legato alla Confraternità di San Rocco di Cella ed Agrons.
Valentino Lupieri era un padre autoritario un pò come in tutte le famiglie carniche anche lui gestiva i rapporti famigliari in modo patriarcale. Dei tre fratelli Lupieri Giobatta era quello che meno si addattava a questo tipo di imposizioni e per tutta la sua vita si terà lontano dagli affari della famiglia in Istria. Non amava l'Istria e preferiva le montagne natie della Carnia nelle quali si era da sempre identificato. I fratelli Valentino e Matteo invece avrannò la residenza fissa a Sanvincenti dove avevano messo su famiglia e dove gestivano gli affari di famiglia ereditati dal padre. Nel 1797 Valentino aveva imposto al figlio di seguirlo in Istria ma questi si era rifiutato in vista degli studi che voleva intraprendere a Padova. La determinazione del padre si evince benissimo da un fatto accaduto durante il viaggio verso l'Istria; „ Non volli dusgustarlo ma gli ricordai che ai primi di novembre conveniva che io fossi a Padova. Mi rispose che anche dall'Istria si poteva andare in quella città...pervenuti a Udine mi intimò in tono grave e assoluto di rendermi in senno della famiglia. Mi ostinai in ultimo, protestai di non volerlo seguire e lo chiamai responsabile in faccia del cielo e della terra di tutte le conseguenze della sua indiscretezza...egli monto sulla carretta postale e mi lasciò fuori dalla porta di Gemona, solo, senza denaro e senza appoggio in un conflitto di passioni da rendermi infelice, frenetico, disperato. Mi volsi indietro risoluto di rendermi nell'Istria, onde col vino prodotto dall'autunnale raccolto, procacciarmi denaro e appigliarmi in seguito al partito più opportuno mi avesse presentato la sorte!“ Più tardi Giobatta si era laureato a Padova in Medicina e chirurgia e sul diploma dell'ateneo patavino c'era scritto che Johanes Baptista Lupieri era figlio di Valentini Istriensis. Dunque una conferma della reale residenza dei Lupieri in terra d'Istria. La scelta di partire e stabilirsi in Istria poteva ceare delle vere e proprie fratture all'interno delle famiglie carniche e lo vediamo da questo caso e dal caso di Maria Rovis nata Michieli abbandonata dai figli che hanno seguito il padre Francesco a Gimino. Giovanni Antonio Micoli invece restò celibe e la madre si trasferì con lui a Pinguente per la gestione degli affari di famiglia. I legami di famiglia difficilmente potevano essere spezzati perché non solo era una consuetudine secolare ma né dipendevano molto spesso la sorti della stessa. La gestione famigliare della casa da parte dei consorti non ammetteva iniziative isolate e un eventuale sfaldamento dei legami famigliari e la divisione dei beni poteva signifare l'impoverimento e la perdita delle capacità economiche precedenti. Questo era stato anche il caso della rovina economica della casa Lupieri che era iniziata con la morte di Valentino nel 1812. Giobatta Lupieri scrive;“ In lui periva molto la famiglia Lupieri, non perché fosse uomo di grande ingegno, ma perché era onesto e onorato capo della medesima e perché lasciava delle guarentigie, degli affari indigesti e degli incagli non lievi ai suoi eredi.“ Giobatta aveva intrapreso la carriera di medico restando sempre nel villaggio di Luint e non partecipava direttamente alla gestione degli affari di famiglia perché non era d'accordo con il metodi dei parenti mentre i fratelli Valentino e Matteo risidevano a Sanvincenti. Si erano ammoglliati con ragazze carniche, Giacomina Rovis di Gimino con Matteo e Anna Mirai con Valentino. Non aveva una grande opinione dei fratelli; „ Valentino mio fratello che lo assisteva né avea l'avvedutezza necessaria, né l'attitudine conveniente per assumerne l'amministrazione e non seppe egli d'altronde mai conoscere gli elementi di retta e decorosa economia...Matteo era inesperto, distratto, volubile, alquanto intemperante.“[111] In realtà, pur non gestendo al meglio le proprietà della famiglia in Istria, Valentino Lupieri era tra i notabili del paese ed era stato anche il podestà di Sanvincenti durante la stesura del Catasto franceschino nel 1824. Nel testamento il padre Valentino aveva preferito i due figli che lo avevano seguito in Istria lasciandogli una cifra in denaro più alta, fatto che a Giobatta non era andato per niente bene. Secondo Giobatta la famiglia Lupieri era più ricca d'opinione che di sostanze e dopo la morte del padre il patrimonio diviso in sette parti insieme al consistente legato in usufrutto della madre si era inevitabilmente deteriorato. Nel 1821 a Sanvincenti morì il fratello Matteo lasciando una bambina piccola Regina nata nel 1815. Giobatta era stato nominato come suo tutore e Regina sarà l'unica erede dei Lupieri in Istria siccome Valentino non ebbe figli. Poiché Regina era rimasta orfana di entrambi i genitori Giobatta come tuttore aveva nominato Giorgio Galante da Luincis come suo procuratore il quale dopo questo incarico restò a vivere in paese. Nel 1847 all'atto della nascità del figlio di Giorgio e Catterina Vernier, Fancesco Pietro il padrino e la madrina erano stati il capellano Antonio Rovis e Regina Lupieri entrambi da Gimino.[112] Usando le consuetudinarie strategie di mantenimento del potere economico i parenti si erano dati da fare per trovare marito alla nezza di Giobatta Lupieri. Con lo sposalizio di Regina con un membro della famiglia Rovis ritornava una parte della dote che aveva portato sua madre dalla famiglia di Gimino. Nel 1835 si era sposata nella chiesa di San Michele a Gimino, davanti al capellano Antonio Rovis e ai testimoni Giovanni Pietro Misdaris e Pietro Millotich.[113] Siccome era minorenne da Tolmezzo era arrivato per procura il nulla'osta. Il matriomio non ebbe una prole fortunata; i figli Antonio (1835-1839), Giacomina (1839-1851) e Giovanni (1843-1844) morironò giovanissimi mentre era sopravissuto soltanto Antonio nato nel 1840. Il marito Giacomo Rovis (1794-1855) di vent'anni più vecchio di lei morirà prima e lei si risposerà con Luigi Giorgis di San Pietro in Selve nel 1856.
Gli affari della famiglia in Istria non andavano molto bene e nel 1827 Lupieri scriveva; „ Mi volsi in questa occasione ad esaminare lo stato delle nostre terre nell'Istria. Le trovai deteriorate ed alcune in istato di vero abbandono. Trovai le soccide sommamente diminuite ed i pochi capitali e mobili quasi distrutti...il maggiore suo difetto ( del fratello Valentino nda) è quello di essere troppo buono e di essere troppo dedito al sonno e troppo trascurato negli interessi che riguardano la domestica e l'agricola economia.“[114] Più volte si era lamentato della condotta economica degli affari di famiglia da parte del fratello Valentino e cerchò di convincerlo di ritornare in Carnia siccome era di salute cagionevole. Giobatta non amava l'Istria e al momento giusto approfitò per scambiare i beni della nipote in Carnia con quelli in Istria. Mantennere le proprietà in Istria non era più nelle sue capacità economiche ed eventuali investimenti potevano portare alla rovina della famiglia. Nel 1848 era morto a Sanvincenti Valentino di reuma al petto non lasciando eredi. Le sostanze della famiglia erano poi state ereditate dalla figlia di Regina Lupieri Albina. Nel fratempo Giobatta aveva messo su famiglia vedendo che la famiglia stava restando senza eredi; ebbe due figli Giulio Cesare Valentino morto volontario nel 1849 ed Eugenia sposata poi con Luigi Magrini. Economicamente a causa di investiementi sbagliati la famiglia aveva perso le sostanze di un tempo. Grazie all'accuratezza del dottor Lupieri l'archivio privato della famiglia , custodito nell'avita casa nel villaggio di Luint, è rimasto una fonte di prim'ordine per la storia della Carnia ma anche per quella della non lontana Istria
Durante uno dei tanti soggiorni in Istria nel
1809 durante il dominio francese aveva ucciso un uomo come leggitima diffesa.
Si trattava di un brigante che come tanti infestava le contrade istriane in un
periodo caotico come lo era stato il periodo della presenza delle truppe
napoleoniche in Istria. I cittadini allertati di Sanvincenti guidati dal
podestà il dottor Giobatta Fiorencis si erano armati per il pericolo di un
sacheggio che era stato avvertito in precedenza. Durante una scaramuccia per le
vie del paese Giobatta Lupieri sparò per autodifesa uccidendo uno dei briganti
del quale non sappiamo il nome. Cosi aveva scritto il sostituto del podestà
Marcello Marani; „Allora il signor Giobatta dottor Lupieri che gli stava di
fronte, lo pervenne, dirigendogli una palla al petto...e morì di fatto tre
giorni dopo, avendo prima con pubblica confessione fatto molte dichiarazioni.“ [115]
Grazie alla testimonianza dei compaesani e all'immediato rapporto al commissario
per l'Istria Calafatti Lupieri era stato assolto per il suo gesto di
corraggio e determinazione. Giovanni Battista Lupieri aveva esercitato la
professione di medico dal 1801 al 1852 “era per necessità chiamato ovunque: e sono due o tre villaggi soli
nella Carnia, che io nella qualità di medico o chirurgo non abbia visitato”. Ci dice anche che “dopo l’anno 1852 io esercitai
pochissimo la professione, un poco per stanchezza, un poco per impotenza, un
poco per convenienza verso i Medici condotti che vennero ovunque istituiti ”.
Come
medico ha costantemente denunciato e deplorato le precarie condizioni igienico
sanitarie in cui versava la popolazione, in particolare quella infantile
soggetta ad un altissimo tasso di mortalità tanto da venire considerata un
fenomeno naturale, ineluttabile, vissuto quasi con indifferenza se non
addirittura come una grazia. “Se il
Giovanni Battista Lupieri (1776-1873)
neonato muore dopo il battesimo,
si ritiene che “l’angioletto” sarà di grande aiuto e protezione alla famiglia
ed ai santoli, specie se è il primo nato, per cui la sua morte non si annuncia
con suoni lugubri, ma con allegri ed argentini suoni della campana più piccola.
Queste convinzioni si riscontravano a tutti i livelli sociali: dal borghese al
più umile”.
„Il medico Lupieri ha cercato di combattere questa concezione
fatalistica svolgendo una costante opera pedagogica per diffondere la
conoscenza delle più elementari norme igienico sanitarie che aiutassero a
prevenire le tante malattie causate dalle misere condizioni di vita in cui si dibatteva
la stragrande maggioranza della popolazione. Malattie che la medicina del tempo
non era in grado di combattere non disponendo di terapie mediche veramente
efficaci. Per quanto riguarda le carenze alimentari purtroppo l’opera
filantropica del medico si scontrava con la cruda e generalizzata realtà della
miseria e ben poco poteva incidere.
Comunque Lupieri ha dato un valido contributo alla lotta contro la mortalità
infantile introducendo per primo in Carnia, nel 1801, la vaccinazione
antivaiolosa e già nella metà dell’Ottocento la campagna vaccinatoria aveva
dato esiti tali per cui poteva affermare che: “Una volta il vajuolo rapiva una
quantità di fanciulli, che ora salvansi col vaccino ”. [116] All'arrrivo del dottor Lupieri suonavano le
campane per avvertire la popolazione di portare i figli a vaccinarsi. Come uomo
di lettere Lupieri ha scritto vari libri e manteneva corrispondenze epistolari
con i più importanti personaggi della Carnia ottocentesca. Nel corso della sua
vita aveva ricoperto anche numerose cariche pubbliche in Carnia. Dal ritratto
con la sua immagine si evince con chiarezza il modo nel quale si vedeva e
voleva essere visto; come un borghese e uomo di lettere in primo luogo. È stato
definito come una personalità per molti
versi eccezionalmente aperto verso le novità scientifiche, ma anche antico
perché credeva in un futuro senza troppe scosse, si potrebbe definire un
liberal moderato, un borghese di montagna che non si era fatto limitare
dall'isolamento geografico del villaggio d'origine dal quale si staccava
soltanto nei numerosi viaggi che aveva fatto nel corso della sua vita. Nella
sua lunga vita, 97 anni, era stato il testimone dei più importanti avvenimenti
che avevano contrasegnato la storia della Carnia in questo periodo
I MICOLI TOSCANO A PINGUENTE
Micoli Toscano è il cognome con cui viene comunemente identificata una famiglia carnica che in realtà ha modificato più volte la propria denominazione[117] ed ha le sue origini nei Toscano emigrati in Friuli dall'omonima regione apenninica. Lorenzo Toschiani nel 1530 abitava a Luint[118] per trasferirsi più tardi nel villaggio di Mione. Erano proprietari di alcune segherie sul Degano e si occupavano di commercio di legname. Con il passare del tempo aumentava anche la loro proprietà fondiaria. Verso il 1680 in mancanza di eredi in linea maschile Elena Toscano sposa Zuanne Crosilla di Luincis appartenente ad un' importante famiglia di gismani della Carnia. L'eredità dei Toscano viene raccolta da questo ramo dei Crosilla. Nel 1686 Zuanne e Bartolomeo Crosilla vengono uccisi a Mione da Biagio Biral. La figlia di Elena Catterina sposa nel 1708 Giovanni Micoli di Muina. Anche la famiglia Micoli di Muina viveva in condizioni agiate, vantando numerosi possedimenti tanto nel paese natale quanto nell’Istria.
Il fratello Francesco Crosilla Toscano pur avendo una prole numerosa non ebbe discendenti maschi. Il terzo fratello era don Giobatta singolare figura di sacerdote-mercante morto nel 1798. In mancanza di eredi maschi la scelta cade su Giovanni q. Floreano Micoli, di Muina, che già da alcuni anni assisteva don Giobatta nella conduzione dell’azienda familiare. Egli era nipote di quel Giovanni Micoli che nel 1708 aveva sposato Caterina Crosilla Toscano e figlio del Floreano Micoli. Le due famiglie possedevano in comproprietà la segheria chiamata Aplis. Don Giobatta Crosilla Toscano era stato il padrino di Giobatta Lupieri nel 1776. La madre del medico di Luint Santa Micoli era la figlia della sorella del sacerdote. Giobatta Crosilla Toscano aveva scelto Giovanni qam Floreano Micoli, suo nipote, come suo erede lasciandogli una cospicua eredità. Dunque già in patria i membri delle più influenti famiglie carniche della Val di Gorto erano legati da una fitta rete di rapporti di parentela e di interessi economici. Il nonno di Giovanni dallo stesso nome alla fine del Seicento aveva iniziato la presenza dei Micoli in Istria; a Pinguente. Giovanni Micoli era un tessitore e sarto e commerciava nella sua bottega di Pinguente di mezze lane, sete e altri tessuti con i principali empori istriani dell'epoca. Inoltre avveva investito molto denaro nella compravendita di fondi agricoli a Caroiba, Rozzo e Montona. I vari possedimenti dei Micoli andavano fino a San Vitale[119], con alcuni fonfi agricoli, e Santa Domenica di Visinada dove possedevano una casa. Le proprietà venivano affitate con contratti a colonia o soccida e portavano un notevole guadagno cosi come l'attività di piccolo prestito di denaro ad usura. Da Pinguente che si trova a metà strada tra le varie località istriane dove aveva i propri possedimenti Giovanni Micoli gestiva l'azienda di famiglia. Pinguente pur non essendo molto grande era l'antica sede del Capitano di Raspo una delle cariche amministrative più importanti del governo veneziano in Istria.
Nella seconda metà del Settecento il nipote Giovanni Antonio risiedeva insieme alla madre a Pinguente mentre il fratello Giovanni, quello che aveva raccolto l'eredità dello zio Giobatta Crosilla Toscano era rimasto a Mione e svolgeva l'attività di notaio e numerose altre cariche pubbliche. Giovanni Antonio descrive cosi la vita quotidiana dei notabili istriani dell'epoca; „Quivi in Pinguente tutti mangiano carne, ma non facciamo come hanno fatti lì nostri vecchi, qualli non mangiavano carne, ma bensì latticini, e si ritroviamo star bene... Le mucche anche per la carne, e non solo per ricavarne latte: una novità non di poco conto rispetto alla tipica alimentazione carnica a base di granturco, patate, fagioli, rape e ortaggi.“[120] Una descrizione cosi la dice lunga sulle difficoltà del quotidiano nelle quali si trovavano i rappresentaanti di tutti i ceti istriani di quell'epoca. Un'economia povera e di sussistenza che non riusciva a produrre nessun sovvrapiù che poteva essere venduto a mercati esterni tranne il vino. Nelle sue lettere Giovanni Micoli descrive anche il viaggio a cavallo dalla Carnia all'Istria che di solito durava quattro giorni. In una lettera al fratello, del 29 agosto 1793 scrive cosi : „Fratello e compare amatissimo, partiti di Cargna la prima sera si pernottò in Ospitalle e la mattina si parti nell’alba, e si arivò in Udine alle ore 15 circa, si parti di Udine alle ore 22, e si pernottò la seconda sera in Percotto. La mattina si parti e si fermò in Ronchi, si parti da Ronchi alle ore 22, e si pernottò in S. Croce, e la mattina si parti alle ore 14 siamo arrivatti in Trieste, e si hà pransatto dal Signor Rovis[121], e alle ore 22 ha montatto in carozza ed è arivatta alle ore 23, ed io sono venutto prima, e questa sera siamo dal signor Madonizza il quale vi salutta. La madre e un pocco stanca ma non quanto credeva e dimani partiremo per Pinguente e subito arivatto vi scriverò. La cavalla mi ha fatto diventar matto; ma alla fine era sodata.“ [122] Anche Giobatta Lupieri descrive le difficoltà del viaggio nel marzo del 1842; „ll viaggio non fu il più prospero, perché accompagnato da pioggia, vento, gragnuola ed essendo pure caduta molta neve al monte, ebbesi un freddo tale nell'Istria che eguale non provai nel cuore del verno fra le montagne della Carnia.“[123]
Nel 1810 malatto gravemente di gota Giovanni Antonio torna definitivamente a Mione dove muore nel 1812. Non avendo figli lasciò tutti i suoi averi ai quattro figli del fratello il notaio Giovanni. La proprietà di Pinguente verrà venduta nel 1825 al carnico Giobatta Zanier.
La famiglia Micoli Toscano fuori dalla Carnia aveva possedimenti in Friuli e a Castions di Zoppola vicino a Pordenone. A Mione avevano ristrutturato la vecchia casa costruendo l'attuale palazzo di famiglia. Forse dietro c'era la rivalità con i cugini Lupieri di Luint che all'inizio dell'Ottocento avevano costruito una casa bella e importante. Per non essere da meno e per rimarginare il proprio primato i Micoli Toscano costruirono l'imponente edifico chiamato poi la Casa delle cento finestre. La costruzione di questa dimora segna sicuramente l'apice della potenza della famiglia Micoli Toscano e i colori della casa; rosso, bianco e verde i sentimenti antiaustriaci della famiglia. Nel Settecento avere possedimenti in Istria e investire con l'obiettivo di fare buoni affari era una prerogativa di queste famiglie appartenenti alla borghesia carnica, un secolo dopo la situazione era cambiata e la loro presenza in Istria era indebolita o quasi scomparsa a causa di una diversa congiuntura economica che evidentemente non favoriva più operazioni di questo tipo.
Erano molti i carnici che sceglievano l'Istria per emigrare stagionalmente o in modo definitivo, cum loco et foco, molti sono rimasti in Istria mentre altri hanno fatto ritorno in patria o hanno scelto altri lidi migliori per le loro attività. A livello linguistico e nazionale, nell'Ottocento molti carnici si erano schierati in modo diverso. Seguendo percorsi di vita diversi alcuni tra loro si erano assimilati nelle comunità a maggioranza croata e slovena mentre altri vivendo in comunità linguistiche italiane avevano mantenuto la lingua d'uso variando il dialetto friulano con quello istroveneto parlato nella maggior parte dell'Istria. L'identità nazionale in queste regioni di confine era da sempre particolare e peculiare. Nella seconda metà dell'Ottocento persone con lo stesso cognome e della stessa origine sceglieranno strade politiche e nazionali completamente diverse; Inocent Fabris, un mercante e possidente del borgo di Lindaro, era diventato nel 1887 il primo podestà croato di Pisino[124] mentre l'avvocato Giuseppe Basilisco Fabris (1837-1913) di Sanvincenti era un'irredentista italiano che era diventato celebre per il suo cambio di guardia e il tradimento di Guglielmo Oberdan che portò al suo arresto. [125]
Vittorio Vidali (1900-1983) nato a Muggia però da una famiglia carnica di Verteneglio era stato uno dei principali protagonisti della storia della sinistra italiana nel Novecento. Accusato di essere tra gli esecutori della condanna a morte contro Lev Trockij in Messico nel 1942 e più tardi uno dei leader del PCI e della corrente politica anti jugoslava e antititoista. Vladimir Gortan (1904-1929) di Vermo vicino a Pisino era stato condannato a morte dalle autorità fasciste da parte del Tribunale speciale per la difesa dello stato come elemento sovversivo antiitaliano. Vladimir era diventato il simbolo della lotta antifascista del popolo croato dell'Istria contro le angherie e la denazionalizzazione forzata operata in tutta la Venezia Giulia durante il Ventennio fascista. Dunque destini e percorsi diversi per i figli e i discendenti dei montanari carnici emigrati in Istria. Quello che ha influito di più su queste scelte di campo era sicuramente il contesto nel quale si erano inseriti arrivando in Istria e il loro status sociale. In un contesto croato o sloveno l'assimilazione aveniva nel giro di una generazione, in contesti italiani invece questo fenomeno non era presente. Nelle realtà linguisticamente miste[126] era diffuso il bilinguismo ovvero quello necessario per gli affari e per i vari interessi economici che erano alla base delle loro attività. Un rapporto di apertura indubbiamente ma con sistemi e consuetudini di mantenimento della propria identità e del proprio status economico. Basta pensare alle strategie matrimoniali chiuse che perpetravano gran parte dei carnici presenti in Istria. Per i membri della cosidetta borghesia carnica, l'esperienza istriana era finita nell'Ottocento e la loro storia famigliare era continuata in Carnia. I loro interessi economici e la valenza economica delle varie famiglie consentiva appunto questa doppia residenza e la gestione delle aziende di famiglia in modo paralello tra le due regioni. Per colloro che non avevano lo stesso status sociale le strategie di addatamento erano diverse e l'obiettivo era quello di integrarsi il primo possibile e al meglio nelle nuove comunità di adozione, creandosi una base economica partendo, nella maggior parte dei casi, dall'attività artigianale e in special modo dalle attività legate alla filiera del tessile.
I mistri cargnelli residenti nei piccoli villaggi dell'interno dell'Istria a maggioranza croata spesso conoscevano anche il dialetto ciakavo croato usato dalle popolazioni locali. Questo idioma era necessario per poter svolgere le loro attività che si svolgevano in modo diretto con le popolazioni locali. Questo era il caso di Giovanni Battista Sopravita di Carnizza sposato con Maria Grisanich, figlia dell'oste del paese. Il loro giardino detto „Orto dei Cargnelli“ era stato il luogo dove si erano fermati nell'estate del 1776 i membri di una delle tante bande di ladri presenti sul territorio istriano durante l'Età moderna. Sia Sopravita che altri carnici stagionali e non presenti in quest'area erano stati coinvolti dalle angherie e dai soprusi di questi malviventi. Durante il processo avevano testiomoniato dei fatti in questione, il muratore sessantene Antonio da Monte che stava lavorando sulla chiesa parrocchiale di Carnizza, lo stramazzer ambulante Francesco Micoli che era stato quasi malmenato da questi balordi e il negoziante Zuanne Crosilla che gli aveva venduto della polvere da sparo.[127] Tra i banditi provenienti da varie località come Canfanaro, Barbana o Castelnuovo c'era anche un carnico di Canfanaro Vido Valle. Nelle carte del processo Vido Valle aveva chiesto ad un abitante di Carnizza come stava suo zio l'arciprete del paese e tra le varie testiomonianze c'era anche quella di aver visto ; “ Un uomo vestito all'usanza delli cargnelli...con la camisola rossa“. Il banditismo era una piaga continua in alcune parti dell'Istria e si suppone che alcuni tratti di questo tipo di comportamento siano il rettaggio della cultura seminomade pastorale montanara che gli immigrati avevano portato in Istria dalla loro patria d'origine. Nel villaggio di Monspinoso colonizzato all'inizio del XVII secolo da nuovi abitanti dall'Albania veneta, albanesi e montenegrini, ancora verso la fine del Settecento operava una banda di paesani locali, appartenenti in gran parte alle famiglie albanesi oriunde dalla zona di Scutari.[128] Tra le mete dei briganti c'erano insieme al pievano gli artigiani carnici del paese come Zuanne Sellaro detto Toffolo, Giacomo Fedele o Trissoldo che era stato malmenato dai briganti per non averli salutati per primo. Le loro deposizioni avevano contribuito durante il processo a Capodistria per la condanna del gruppo. I carnici al contrario dei locali non si facevano scrupoli per denunciare e testimoniare a carico della banda degli albanesi.[129]
I SPINOTTI DI MUINA A GRISIGNANA
LA PRESENZA CARNICA SUL TERRITORIO ISTRIANO
A Rozzo, una località nel nord dell'Istria, dove i Micoli Toscano possedevano numerose proprietà fondiarie vivevano nello stesso periodo numerosi carnici che si occupavano sia di artigianato che di agricoltura. Le due attività spesso erano sussidiarie siccome non tutte le attività artigianali erano redditizie. C'erano la famiglia del contadino Della Martina[141], quella di Micoli Gregorio che era possidente, del fabbro Valentino Felice qam Giuseppe. L'agricoltore Giovanni Fabris possedeva 5 edifici e numerosi terreni. Altri Micoli come Giovanni Maria di Antonio, Giacomo e Giovanni di Francesco erano agricoltori e possidenti. Giobatta qam Floreano Micoli possidente di Pinguente aveva 3 edifici e numerosi fondi agricoli che la famiglia deteneva dalla fine del XVII secolo. Nel vicino villaggio di Cernizza viveva il possidente Antonio Corva di Giovanni, suo padre Giovanni di Osvaldo e Antonio che faceva il tessitore. Un'altro figlio di Giovanni dallo stesso nome svolgeva anche lui l'arte della tessitura. Nello stesso luogo Giovanni Marion di Francesco era agricoltore e il prete Giovanni Moretti era possidente.
Nel villaggio di Caroiba situato nel comune di Montona i Micoli Toscano possedevano un complesso di edifici agricoli e case con numerosi terreni dati in affitto. Una casa colonica e una casa di abitazione con due appartamenti e corte, stalle e cantine. Erano in tutto nove edifici e case e circa novanta particelle agricole. Anche se è piutosto difficile valutare il loro valore attuale però sicuramente era notevole. In questo piccolo villaggio dell'interno dell'Istria c'era una folta rappresentanza carnica sparsa anche su tutto il territorio del sottocomune. In paese c'era Micoli Matteo di Matteo era un'agricoltore che possedeva una casa e stava cum loco et foco. I discendenti di Matteo vivono ancora nello stesso luogo. Molto probabilmente tutti i Micoli di quest'area potevano essere legati ai Micoli Toscano da qualche rapporto di parentela però non potevano paragonarsi con la potenza economica dei Toscani. C'erano i Devanzo, Andrea e Matteo, e i consorti Dell'osto di Portole che possedevano una casa colonica. Bernardo Rovis di Monpaderno possedeva una casa per uso proprio. Pietro Bernessi di Simone possedeva una casa colonica coperta con paglia con un orto. Vicino a Caroiba nel villaggio di Caminavaz ( in croato Kamena Vas; letteralmente tradotto come „villaggio di pietra“) chiamato anche Bertoni[142] vivevano come piccoli proprietari terrieri le numerose famiglie Berton; Antonio di Luca e consorti e Matteo di Steffano e consorti. Nella stessa frazione c'erano Vinzani Giovanni e Antonio e la vedova Catterina Vinzani. Il nome del paese deriva dal fatto che le case di solito non erano coperte con tegole in laterizi ma con lastre di pietra o con tetti di paglia e in questo caso il paese evidentemente si differenziava dagli altri abitati nelle sue vicinanze. Nel Catasto franceschino le case con il tetto di paglia ovvero con questo tipo di copertura sono menzionate come case di modesta fattura e di conseguenza più povere. Nel villaggio di Mocibobi viveva il contadino Marco Viola di Matteo dove possedeva una casa con stalla per due bovini e 30 animali lanuti. Giacomo Spilotti[143] viveva in una casa coperta da paglia mentre Matteo e altri suoi parenti erano gli eredi di Giacinto di Gregorio Linz. [144]
Nella vicina area di Novacco di Montona e Caldier tra i proprietari di beni immobili c'erano altri carnici e friulani come il fabbro Giovanni e suo fratello Giorgio Sardot che possedevano una casa con bottega , il tessitore Antonio Corva viveva in casa con la sorella. Era dello stesso mestiere Matteo Garbini. C'era la villica Candida Garbini e i suo consorti cosi come il contadino Antonio Damiani detto Questi. Il fabbro Silvestro Cappellotto era li proprietario di una casa per abitazione e di una bottega da fabbro con corte. C'etano contadini Giovanni Bertossa con i fratelli e Matteo Bertossich. Le famiglie Pilato, Sellar, Gallo, Dagostini e Laganis a Caldier. La villica Maria Cossetto vedova Candriella di Visignano possedeva un campo a Novacco. Una delle testiomniante scritte più antiche custodite all'Archivio di Udine riguardanti l'Istria è il testamento di Catterina Cimador del 1592 che lasciava in eredità alcuni terreni posti nella villa di Novacco nel territorio di Montona al figlio Migel fiol di Valenti Cimador cargnillo della villa di Ovasta nel Canal di Gorto.
Questa presenza capilare non era limitata strettamente alle località più piccole o se vogliamo meno importanti a Montona la situazione nel 1820 era la stessa come nell'area attigua. La presenza degli artigiani carnici era marcata anche dal fatto che anche qui erano distinti per la loro importanza nella micro società locale. La grossa borgata collinare era ben abitata all'epoca con una popolazione prevalentemente italiana ed era il centro politico e amministrativo dell'area del fiume Quieto. Al numero civico due, subito dopo il palazzo del podestà c'era la casa e la bottega del sarto Giovanni Tassotti[145] mentre di fronte c'erano le case dei Candotto[146], Antonio, Leonardo e Giobatta tutti possidenti e agricoltori. Giovanni Micoli Toscano possedeva anche a Montona due grandi case vicino ai Candotto e a Tassotti. Le altre bottege artigiane erano situate nel borgo Gradiziol attorno alla via principale che conduce al centro del castello di Montona. Antonio Zucca e Sebastiano Resar come tessitori, Giacomo Zanetti come calzolaio e Domenico Benvenuti come fallegname. I fratelli Cugnago[147] Alessandro e Steffano, possidenti, gestivano la grande osteria che si trova ancora oggi ai piedi del monte di Montona, all'incrocio chiamato Canal. Si trattava di una casa ad uso osteria con stalla per otto cavalli. Nel castello erano i proprietari dell'edificio più grande ( 240 klafter) dopo la casa dei marchesi Polesini. Il carnico Nicolò Pesamosche[148] era muratore mentre il figlio Antonio sarto faceva il caffetiere . Antonio si era sposato a Pola nel 1802 con Elena Catich del fu Giovanni[149], forse grazie al fatto che in questa città abitava da qualche tempo un suo probabile parente Matteo Pesamosche. [150] In questo esempio si vede benissimo la mobilità dei carnici non tanto scontata per l'epoca. Erano numerose le famiglie di agricoltori friulani e carnici a Montona e a San Pancrazio, un pò come a Visignano, e nei villaggi dei suoi dintorni. Si trattava delle seguenti famiglie di agricoltori e piccoli proprietari; Callegari Matteo, Sandri Maria vedova Tomaz, Miani Niccolò, Lucia Castro Cramer, Giuseppe Cramer, Giuseppe Cuchier, Michele Maier, Matteo Benvenuti, Giovanni Furlani, Benedetto Forlani, Andrea Franza e consorti e le famiglie[151] Franza, Romano, Canziani, Linardon e Rossi.
A Portole vivevano come possidenti i consorti Dell'Osto, il tessitore Pietro Candido, il calzolaio Leonardo Rinaldi, il muratori e agricoltori Timeus Giobatta, Giovanni e Francesco, i sarti Daniele, Matteo e Giobatta Vernier, il fabbro Pietro Palma, gli agricoltori possidenti Simone Damiani, Giacomo e Angelo Valle i consorti Leonardis e Pietro Gottardis e Giovanni Fedel erano sarti. La tessitura dei panni e la confezione dei vestiti passava per le mani dei carnici, nel villaggio di Stridone-Sregna c'era un vero e proprio centro per la tessitura con numerosi tellari dei fratelli Punis; Domenico e Giacomo qam Pietro. In questo villaggio producevano anche alcuni pezzi per la costruzione dei tellari come si evince dall'inventario di bottega di Giobatta De Prato di Decani del 1752; un paro de casse da tellaro fatte a Sdregna.[152] Giovanni Crosilla era muratore mentre Francesco Punis qam Giobatta gestiva un'osteria.
Nella vicina Piemonte il possidente più importante era Antonio Valle qam Francesco[153], c'erano ancora Angelo e Francesco Fabris, Matteo Marcon[154], Giobatta, Valentino, Sebastiano e Marco Miani, Pietro Rabas, Giovanni Dionis e Giovanni Damiani. Sempre nella valle del Quieto a Castagna, il paese dei batellanti, c'era Pietro Valle, Giovanni Mengotti, Giobatta Filipput, Matteo Delucca, Marco Mian, Marina Sparagna vedova di Matteo Caligarich, Antonio Trampus, Matteo Sparagna e Matteo Sartoretto. A poca distanza a Grisignana[155] vivevano i numerosi possidenti Corva, Agostino, Nicolò, Giacomo e Giovanni. Osvaldo Fedele aveva un negozio mentre erano contadini Giovanni Danielis, Antonio Danelutti, Giovanni Rodella, Giovanni Grachi, Giovanni Pelizzari, Matteo Comisso, Giacomo e Matteo Daris e Mattia Fabris. La famiglia più importante era quella degli Spinotti di Muina. Sia Piemonte che Castagna sono due villaggi relativamente piccoli e questi dati confermano che la maggior parte degli abitanti di queste contrade erano di origine carnica e friulana. Questo era il caso di Buie e Momiano che erano abitate da artigiani e contadini in buona parte provenienti da queste regioni e la loro presenza era decisamente importante nelle località di riferimento. Insomma una presenza cospicua sia di numero che come valenza economica di questo gruppo di immigrati. L'ambiente istriano si era dimostrato come molto buono per il loro inesto e a loro volta i furlani e i cargnelli si sono ambientati con disinvoltura ai vari ambienti istriani. Il carattere stagionale della presenza di alcuni gruppi famigliari non rappresentava nessun tipo di ostacolo siccome i rapporti sociali erano tali da assicurare i loro interessi in terra d'Istria. Anche all'interno di questo gruppo esisteva una marcata stratificazione sociale, accanto a quelli più facoltosi impegnati sia nelle arti che nel possesso della terra c'erano artigiani e contadini friulani che riuscivano con difficoltà ad arrangiarsi nel nuovo contesto istriano. Una presenza più marcata di carnici facoltosi è segnalata a partire dalla fine del Seicento a causa di una nuova ondata migratoria dalla Carnia e di una migliorata situazione in Istria dopo il periodo delle epidemie e delle guerre che avevano contrasegnato il Cinquecento e il Seicento istriano.
Nella villaggio di Verteneglio ancora il Tommasini nel XVII secolo aveva descritto una folta colonia di carnici presenti in paese all'interno di un contesto maggioritario slavo.; „Tutte persone rurali, da alcuni della Carnia in fuori che nella villa lavorano lane per far panni di griso, ed è comune ad essi abitatori la lingua slava.“ [156] Nelle anagrafi sono annotati a partire dalla metà del Cinquecento; Zuanne Fachin (1548), Piero Sartor (1568),Tomaso Furlan (1577), Piol (1630), Zuanne Cargnel (1640), Domenico Spiz (1636), Bastian Fabris (1651), Bartolo Solar (1657), Zuanne Cimador (1659) e Cleva (1689).[157] Verteneglio era la meta di molti artigiani stagionali del villaggio di Agrons, infatti sono numerosi i decessi annotati nei libri parrocchiali della minuscola località carnica; nel 1722 Francesco Del Monaco (obijt in Domino munitus omnibus Sacramentis in partibus Istriæ sic relatum fuit, eius cadaver tumulatum fuit in Ecclesia Parochiali de Vertaneo sub teritorius Civitatis Novæ) nel 1728 morirono in Istria Bortolomeo Fabris e suo figlio Francesco (in partibus Istriæ loco dicto Vartanea).[158] In un altro atto del 1766 Antonio del fu Bartolomeo Del Fabro trasferirosi in modo definitivo a Verteneglio vende una casa ad Agrons a Giobatta Bulfon.[159] Dagli Atti del Comune di Cittanova[160] della fine del Seicento (1686) si vede che la presenza dei carnici era frequente e regolamentata con facilitazioni; „Concessione a mistro Lorenzo Fabro[161] di una casa in Verteneglio per anni cinque coll'obbligo di pagar l'affitto per detta casa quel tanto che pagavano li Cargnelli.“ [162] Al di fuori della filiera del tessile i carnici svolgevano anche altri mestieri artigianali ed erano presenti come possidenti nel Catasto franceschino del 1820. A partire dall'inizio del secolo fino al 1945 rappresentavano un'importante componente della popolazione della villa. Nel 1820 tra i possessori di immobili c'erano Giacomo Crossila di Daniele, Antonio Majer di Urbano, Domenico Spiz[163] di Pietro, Antonio Marion di Antonio, il calzolaio Pietro Candussio di Vincenzo, Antonio Fabris di Giovanni, Maddalena Decolle, Giovanni Bernardis di Giovanni, Michele e Matteo Cappellari, il tessitore stagionale Pietro Steffani di Stefano e Giuseppe Vidali di Giobatta. Più tardi troviamo altre tracce di carnici come Catterina Zanier, Antonia Palma, Valentino Danelon di Giacomo sposato con Lucia Solaro, il fallegname Giovanni Palman di Tribano, il barbiere Vittorio Piol di Francesco, Lodovico Danelon[164] e la moglie Antonia Palman, suo figlio il calzolaio Pietro sposato con Maria Loi. Altri calzolai facevano anche gli agricoltori come come Giovanni Piazza, Antonio Triscoli e Antonio Fabris nel 1880[165] facevano i carrai, mentre nella filiera del tessile erano sarti Giovanni e Nicolò Palman e Carlo Solaro.[166]
Nel Catasto del 1820 soltanto Giuseppe Vidali di Giobatta viene indicato come residente fuori dal comune di Verteneglio. Nello stesso periodo era residente a Rigolato dove viveva con la numerosa famiglia. Al numero civico 37 di Rigolato erano residenti nel 1812 il possidente Giuseppe Antonio ( nato nel 1783), la moglie Apollonia Cappellari (nata a Pesariis nel 1780) i loro figli Maria Luigia, Giobatta, Giuseppe Antonio e la nonna Maria Maddalena Gracco ( nata nel 1742).[167] La zona di Rigolato era una zona di emigrazione di mercanti ambulanti i materialisti verso le terre tedesche nel XVII e XVIII, mentre nella seconda metà del Settecento questo trend era in parte cambiato a favore dell'Istria e di altre località. La famiglia restò in paese fino alla fine del secolo per trasferirsi poi a Muggia dove era nato Vittorio Vidali[168] il quale ricorda così le sue origini; „ Erano arrivati nel cuore dell'Istria su un carro di buoi, provenendo dalla Carnia, da Rigolato, un paesino incassato tra le montagne, dove si poteva fare il boscaiolo o da pastore. Gente forte, rude e laboriosa.“[169] Secondo Adelchi Puschiasis Vidali non poteva sapere che pochi tra i suoi antenati facevano i pastori e i boschaioli ma piutosto erano commercianti che durante il Seicento scorazzavano per l'Europa, cercavano fortuna a Salisburgo, vi costruivano altari a proprie spese, esprimevano notai e agrimensori, ripiegavano in fine a Verteneglio o a altre località istriane quando i traffici con le terre tedesche si erano esauriti, non come agricoltori senza terra ma come possidenti investendo quel che restava dei loro patrimoni in nuovi affari in terra d'Istria. Questa corrente migratoria di rigaldotti verso l'Istria in realtà era di molto antecedente all'arrivo di Giuseppe Antonio a Verteneglio. I Vidali, però un altro ramo dei moltissimi nuclei famigliari con questo cognome, erano già presenti in Istria ad Abrega e poi a Villanova di Parenzo dalla fine del XVII secolo. Dallo stesso villaggio a Verteneglio si era trasferita un'altra famiglia i Cappellari. A Rigolato erano arrivati dalla villa di Pesariis ed erano imparentati con i Vidali. Il primo ad essere annotato nei libri parocchiali a Verteneglio era stato Osvaldo Cappellari nel 1784[170], nel 1800 e nel 1812 tra i residenti a Rigolato c'era il mercante Osvaldo Antonio (1779-1856)[171] e altri individui dallo stesso cognome come Giovanni (1750-1818) e Giovanni Giacomo Valentino ( 1771-1814)[172]. Nel Catasto del 1820 a Verteneglio vengono anotati come possidenti il notaio Matteo Cappellari di Michele e Michele di Osvaldo mentre nel 1829 il sacerdote curato nonché precettore delle scuole elementari Michele Cappellari era associato per la pubblicazione dell'opera omnia dello Stancovich.[173] L'esponente più importante di questa famiglia in Istria era il tessitore Michele Capellari. Il suo testatemento del 4 luglio 1785 è l'unico inventario completo di una bottega da tessitore in Istria, non solo, il documento composto da una ventina di pagine è l'elenco delle attività e dei crediti del negozio di vino, olio d'oliva e di altri generi con i quali commerciava il Capellari in un'area comprendente tutto il buiese, nonché il resoconto dei numerosi crediti e livelli dell'attività usuraia del tesser di Verteneglio. Nel testamento erano stati nominati i commissari e gli stimatori che dovevano valutare e stabilire l'ammontare stesso della massa testamentaria. I commissari carnici provenienti dal paese d'origine dei Capellari Pesariis erano Giobatta Gonano e Osvaldo Machin i quali dovevano sistemare i beni posseduti Carnia. Il conte Aurelio Rigo di Cittanova, il conte Marco Marcovich di Petrovia, cugino dei Capellari e Zorzi Druscovich erano i commissari addetti al mantenimento delle volontà testamentarie e al recupero dei crediti. Sia il conte Rigo che Marco Marcovich erano essi stessi debitori del Capellari nel suo elenco dei crediti e livelli. Il contenzioso è abbastanza complicato a causa dei molti crediti detenuti dal Capellari e dalla grossa portata del lascito testamentario anche in denaro liquido.[174] I commissari erano necessari a causa del rifiuto del notaio Giovanni Antonio Valeri di essere l'esecutore del lascito. La stessa cosa fece il figlio pupillo di Michele il notaio Matteo Capellari. Gli altri eredi erano la vedova donna Maria e gli altri due figli Osvaldo e Cristofolo. Sulla portata di questo fatto e sul potere economico e sociale del Capellari la dice tutta il fatto che alcuni dei documenti sono stati stipulati nella casa dei Rigo a Verteneglio, viene coinvolto il loro parente il conte Marcovich di Petrovia e il domino Stefano Radoicovich della villa di Torre sempre del territorio di Cittanova del quale Verteneglio faceva parte. Aurelio Rigo e Stefano Radoicovich dovevano al erede Matteo Capellari 825 ducati. Il patrimonio venne stimato con accuratezza da tutta una serie di professionisti stimatori prevalentemente carnici o friulani del territorio anch'essi. Da questo testamento emergono chiaramente le caratteristiche delle attività dei carnici in Istria; la tessitura, il commercio, l'investimento nei beni fondiari e il piccolo e medio prestito ad usura.
Nella villa di Pesariis dalla qualle provenivano l'attività dei Capellari insieme alla famiglia Solari era quella della costruzione di orologi. Arte che era nata da una fucina di fabbro ferraio e più tardi si svilupperà in una vera e propria azienda di orologi della famiglia Solari. A Visignano nel 1780 Giobatta Capellari e Mattia Machin costruiscono l'orologio posto sul campanile del borgo. Nello stesso anno il professore Antonio Capellari della Cargna ricevette l'incarico di sostituire il vecchio orologio del campanile di Cittanova con uno nuovo per ducati 130 da lire 6 con l'obbligo di porlo in opera.[175] In Carnia nel 1774 avevano consegnato un orologio a Giacomo Micoli per la sua casa di Muina mentre nel 1789 avevano costruito l'orologio sulla torre comunale di Cherso e a Pirano nel 1802.[176] La loro attività si svolgeva in gran parte in Istria e in Dalmazia, un mercato per il quale non dovevano pagare dazi aggiuntivi.
A Buie, Momiano e Tribano c'erano numerosissimi artigiani di origine carnica a partire dall'inizio del XVII secolo. Tra queste tre località giravano nei loro affari le stesse famiglie come i Gottardis, Orlando, Valle, Candotti, De Colle, Danielis, Dell'osto, Fedel, Vidonis, Scaramella, Marin, Zanier, Ermanis o i Piccoli. La loro presenza era molto più cospicua che sulla costa dove nelle cittadine come Umago e Cittanova il patriziato locale e le autorità ecclesiastiche locali svolgevano un ruolo economico e sociale di predominanaza tale che l'innesto dei carnici non aveva molte prospettive. Inoltre le località in questione e i loro territori non erano densamente abitati fatto che limitava i commerci e l'artigianato. C'era una latente mancanza di abitanti e vari tentativi di attrare nuovi abitanti però non era un contesto nel quale i carnici potevano emergere. Per quanto riguarda la filiera del tessile i tessuti grezzi e costosi, come lo confermano le fonti, prodotti dai tessers carnici non avevano mercato la dove non era d'uso vestirsi in questa maniera. I piccoli centri dell'interno con un grande circondario rurale erano le zone ideali dove i carnici potevano svolgere le loro attività. Da un inventario di bottega da tessitore e del negotio di Verteneglio del 1789 si evince il bacino d'utenza della stessa che andava per una parte dei suoi trafici e manegi fino a Cittanova, Daila, Umago e Matterada.[177]
Nelle anagrafi di Buie dal 1603 al 1797 sono 72 i nominativi di immigrati dalla Carnia e dal Friuli con l'indicazione della loro origine. Dal XVI secolo al 1945 i carnici documentati a Buie ( con o senza indicazione di provenienza nei documenti) e nel suo territorio in questo periodo erano i seguenti; Agarinis, Cleva, Fedel, Misdaris, Candussio, Cimador, Colinas[178], Gracco[179], Bisdaris, Giaconis, Misdaris, Machin, Marin, Muraro, Caligaro, Candido, Capeler, Civitan, Calligaro, Cecconi, Corva, Cossetto, Brovedan, Crosilla, Cucchiaro, D'Agaro, Danielis, Danelon, Damiani, De Colle, De Giusti, Del Fabbro, Fabro, Fabris, Deluca, Diana, Ermanis, Fortuna, Gallo, Gonan, Gottardis, Loi o Loj, Lunardis, Palazzo, Piccoli, Picot, Piazza, Pittino, Pellegrini, Rainis, Rossi, Rovis, Rinaldis, Rupil, Sartor, Selaro, Scaramella, Simonetto, Spingar[180], Steffanut, Stefani, Tessarolo, Tavosco, Toscan, Usiaca, Valle, Valentinis, Vidonis, Zanier, Zanus e Zuliani. Alcuni di questi cognomi sono presenze temporanee mentre altri si sono fermati loco et foco. Ad esempio i discendenti del calzolaio Pietro Loj di Muina documentati a Buie dal 1678 un secolo dopo nel 1787 nel censimento sottoscritto dal arciprete don Francesco Loj erano una delle famiglie più numerose della città con 13 membri[181]. Erano possidenti nonché artigiani e commercianti, proprietari di numerose case, di un edificio economico e di un caseggiato per conciare il pellame. A livello numerico Buie è una delle località più interessate dai flussi migratori dalla Carnia e dal Friuli. Nello Status animarum del 1866 su 501 abitanti del borgo quelli di origine carnica erano 48, quasi il 10 %, relativamente poco in confronto ai secoli precedenti. La loro presenza importante e duratura nel tempo è testimoniata anche dalla toponomastica del borgo e della campagna circostante.[182] L'immigrazione dal Friuli era altretanto rappresentata; nel 1945 soltanto le famiglie con il cognome Furlan erano 19.[183] I mistri cargnelli erano molto mobili nei loro spostamenti e dopo un periodo passato in un villaggio facilmente si spostavano in qualche località più addatta ai loro affari. Molto spesso si possono seguire le loro tracce dei loro spostamenti. A Torre di Parenzo vivevano nella prima metà dell'Ottocento come possessori di immobili Tommaso e Giovanni Berton, Giorgio Cramar, Daniele Decaneva di Biaggio, Biaggio Decaneva di Osvaldo, Fidelis Fidele, il calzolaio Cristoforo Macchin, i sarti Giobatta Rodella di Antonio e suo fratello Matteo Rodella[184] e Giobatta Sandri. I Decaneva oriundi di Liariis erano presenti nella vicina Villanova di Parenzo dove nel 1731 era residente il nodaro Zuanne De Caneva mentre suo figlio Osvaldo Decaneva era notaio a Torre nel 1786[185]. Il nipote di Osvaldo don Osvaldo Decaneva nato a Liariis nel 1823 aveva trascorso molto tempo nella casa dei Lupieri a Luint e con Giobatta Lupieri intrateneva fitti contatti epistolari. „Io ho tanta stima in quel vecchio venerabile dei nostri monti, che le sue parole si ritengono altretanti oracoli...è l'uomo insomma che figura bene nella presente società come figurava nella passata“[186], in questo modo don Osvaldo si riferiva alla figura del dottor Lupieri a dimostrazione della forte identità di appartenenza e dei loro rapporti reciproci che mantenevano i carnici pur essendo legati all'Istria da varie generazioni[187]. Nel vicino villaggio di Vabriga nel 1820 viveva Giuseppe Vidali di Giuseppe, possedevano il più grande caseggiato nel centro del villaggio e si presentavano come i possidenti più facoltosi della piccola comunità rurale. Il padre Giuseppe era un notaio nel 1758 come si evince dal fondo notarile di Parenzo presso l'Archivio di Pisino. I Vidali erano originari di Rigolato come la famiglia dallo stesso cognome di Verteneglio. Nel 1692 ser Leonardo qm. Josepho Vidale detto d’Antonijs della suddetta villa di Rigolato”, fa redigere un contratto matrimoniale con “donna Pascha figliola del qm. Antonio di Benedetti abitante in Abriga nell’Istria”. La moglie era una carnica di Visignano dove sono documentati i Benedetti proprio in questo periodo, nella seconda metà del XVII secolo. Leonardo Vidale ancora nel 1701 risulta residente nel territorio di Torre e Abrega, presso Parenzo, quando “Candido qm. Reverendo pre’ Giovanni Benvenuta di Ludaria ..... ha costituito suo procuratore Leonardo Vidale hora abitante in Torre ...... a dover comparire havanti la Magnifica Giustizia e Contado di Mumiano, nelle parti dell’Istria“.[188] Vidale sive de Antonijs era la variante del cognome che usavano per diferenziare i vari rami delle numerose famiglie che c'erano nella zona di Rigolato in quel periodo. Era una zona di materialisti, cramars che commerciavano spesso con spezie e medicinali ed infatti era il caso dei due fratelli Vidali, figli del notaio Giuseppe; Giovanni Antonio di Giuseppe era speziale e come suo domicilio viene indicata Venezia dove evidentemente aveva interessi e commerci. Leonardo di Giuseppe Vidali, anch'egli speziale, nella principale via cittadina di Parenzo, nella Decumana, era proprietario di un palazzo con cisterna dove aveva la bottega di speziere. Nell'Ottocento a Parenzo i suoi discenedenti gestivano la farmacia „Vidali“. Nella vicina Villanova di Parenzo sempe nello stesso periodo c'erano i possidenti Antonio Vidali di Nicolò e Francesco Vidali di Osvaldo. In questa villa fondata nel Cinquecento da genti morlacche provenienti dalla Dalmazia, 100 famiglie e 700 individui, viveva una folta comunità di artigiani e possidenti carnici raggruppati con le loro case e bottege uno vicino all'altro come in una specie di piccola zona artigianale. Il centro del terrritorio, Villanova appunto, contava circa una trentina di case e circa metà di queste erano di proprietà dei mistri cargnelli. Gerolamo Terziolo di Giobatta era fabbro ferraio, c'erano poi Giobatta Misdaris, Giobatta Fedel, Giacomo Dell'Oste, Santo De Valentinis, Giobatta Triscoli e il grande possidente Giobatta Dell'Oste[189] che nel vicino comune di Visignano insieme alla figlia Catterina possedeva 80 ettari di terreni agricoli. Il borgo di Visignano e tutto il suo largo territorio sono stati interessati dai flussi migratori dal Friuli e dalla Carnia per tutta l'Età moderna. Possiamo affermare che la vita di questa comunità era stata contarsegnata dalla presenza di questo elemento e nelle anagrafi e in altre fonti si può riscontare la loro presenza stagionale, temporanea e fissa. Nei villaggi più grandi del territorio come Mondellebotte, San Vitale e Cerrion la loro presenza era altretanto importante. Secondo le Anagrafi venete del 1766[190] a Visignano c'erano sei telari da tela mentre a San Vitale ben 14 telari, mentre a Villanova 10, per la maggior parte erano di proprietà di artigiani carnici. Dunque sarti e tessitori ma anche tanti muratori e agricoltori tra i carnici di questo territorio. Nella vicina Santa Domenica la varie famiglie dei Cossetto erano sicuramente le più influenti nel possesso agrario. I Cossetto, come tessitori, sono originari di Valpiceto nella zona di Rigolato e sono presenti in varie località dell'Istria (Gimino, Visignano, Grisignana e più tardi Buie) dall'inizio del Seicento.[191] C'erano i calzolai Lazzaro Damiani e Martino Giaconis, mentre erano agricoltori Gregorio Gasparini e Pietro Galante. A Castellier di Visinada Giobatta Del Missier[192] faceva il sarto e suo fratello Francesco era possidente. I fratelli Del Missier[193] nel 1823 avevano venduto le loro proprietà a Mione, case comprese, a Giobatta Micoli Toscano.[194] I Micoli Toscano come la famiglia più facoltosa del Canale di Gorto si presentavano molto spesso come acquirenti di beni di carnici che decidevano di stabilirsi loco et foco, in modo definitivo, in Istria. A Castellier vivevano anche i fratelli Riosa, Vincenzo e Matteo che erano agricoltori cosi come era dello stesso mestiere Antonio Trampus.
A Parenzo all'inizio dell'Ottocento c'era una situazione diversa da quella dell'entroterra; i carnici si trovavano agli estremi opposti della scala sociale. Da medici, chirurghi e speziali ad agricoltori e pescatori[195]. Gli speziali Leonardo Vidali e Andrea Zuliani, il chirurgo Gerolamo Candussio, il medico e possidente Giobatta Zotti, il sarcerdote Nicolò Travan, i calzolai Domenico Della Marina e Giovanni Piccoli, il sarto Giobatta Orsetti, i pescatori Pasquale, Giuseppe, Pietro e Antonio Riosa. Faceva il parucchiere Teodosio Piccoli mentre Lodovico era possidente cosi come Gaspero Gallo e Giobatta Derossi. Infine erano agricoltori Domenico Pinzano, Giovanni Snaider e Giovanni Segalla. A San Lorenzo del Pasenatico c'erano nel 1820 il sarto Giacomo Candriella di Lorenzo, il tessitore Giobatta Dell'Oste, il muratore Domenico Del Zecco e la contadina Maria Tomat. In quel territorio che fino al 1797 era l'Istria arciducale o Contea di Pisino la presenza di questi artigiani e mercanti carnici e friulani era marcata allo stesso modo dell'Istria veneta e in realtà non c'erano grandi differenze nel loro tipo di insediamento. Ogni centro un pò più importante era abitanto da queste maestranze, ad Antignana Giovanni Bottegaro e consorti, Catterina Benedetti, Giovanni e Antonio Depiera, Giovanni Florianis, Marino Valle e Giovanni Nadalutti. A Corridico, che era un importante centro per la tessitura, i Vernier e i Fabris, a villa Treviso; Giuseppe Bonanno, Pietro Spilotti, Giuseppe Agostinis e Giacomo Zanier. A Vermo c'erano i tessitori Gortan e a Pisino e Pisin Vecchio; Matteo Di Qual, Floreano Cuchiaro, Antonio Segher, Giacomo Sartori, Maria Gortan, Francesco Facchin, Solari Sebastiano e Filippo, Martino Pascoli, Giovanni Calligarich e Antonio De Lorenzi. Nel 1829 erano tra gli associati per la pubblicazione della „ Biografia degli uomini distinti dell'Istria“ del canonico Pietro Stancovich Simone Dequal come ispettore per le scuole elementari e consigliere consistoriale e il farmacista Giovanni Gallo.[196] Nei dintorni di Pisino sulla strada statale verso Gimino nel villaggio di Sberlini i Kalac erano i discendenti di immigrati carnici dediti alla tessitura. Nel vicino borgo di Lindaro c'erano Giuseppe Picot, Giovanni Pascoli, Matteo, Antonio e Francesco Gortan, Giovanni Rodella, Francesco e Giovanni Stefanutti, Giovanni e Andrea Fabris e Leonardo e Giobatta Flora. A Gallignana le seguenti famiglie; Gortan, De Franceschi, Festa, Picot, Baldè mentre a Pedena i Rovis e i Comisso. Anche nei villaggi più piccoli come la località di Grobenico dei Carnelli in Valdarsa e nella vicina frazione di Carnelli c'erano i discendenti dei Crosilla che vengono annotati come Cruxila e anche come Gliubicich Cruxila, evidentemente come dote nuziale. La presenza dei Crosilla in questa parte orientale dell'Istria centrale era risalente all'inizio del Seicento in varie località come Passo, Bogliuno, Briani e Carnizza. A Moncalvo di Pisino nel 1820 erano presenti 6 fuochi dei possidenti De Franceschi; Maria, Giueseppe, Giobatta (di Gallignana), Leonardo e Antonio. Erano la famiglia più influente dell'area in questione che comprendeva una decina di villaggi abitati compattamente da contadini croati. Il loro trasferimento da Agrons, dove avevano alcuni diritti feudali legati al ruolo di gismani, in Istria risale al XVII secolo.[197] Nel paese c'erano ancora i consorti Pascoli; Giovanni vulgo Smokvich, Martino e Giovanni vulgo Poglianaz residenti anche a Pisin Vecchio. Inoltre ad infoltire la colonia carnica c'erano ancora Francesco Palman e Antonio Marion. Nel vicino villaggio di Passo c'era Francesco Picot e a Bogliuno Lorenzo Fedel, Antonio Crosilla, Giovanni Feranda, Marino Gonan e Furlanich Giorgio e Gregorio.
A San Pietro in Selve, un monastero-feudo dei frati paolini, vivevano i Giorgis di Mione. Siccome l'abitato è un'insieme di frazioni sparse distanti tra loro in una di queste denominata Kargnelichi o Poli Giorgichi (letteralmente tradotto Dai Giorgis)[198] viveva nel 1820 la famiglia di Antonio e Giuseppe Giorgis. C'erano ancora un'omonimo Antonio Giorgis nella villa Stampolichi e il possidente Giobatta Giorgis nella villa Kravarich . I Giorgis sono menzionati molto spesso negli atti di compravendita nell'archivio dei Micoli Toscano a Mione. Dopo che l'abbazia di San Pietro era passata di mano ai Montecuccoli di Modena, proprietari del castello di Pisino, i Giorgis avevano acquistato l'edificio dell'ex convento nel corso dell'Ottocento ed hanno mantenuto la proprietà fino alla metà del Novecento. Erano imparentati con i Rovis della vicina Gimino e mantenevano strategie matrimoniali tipiche dei carnici più facoltosi dell'Istria[199]. Il potere economico raggiunto era confermato dall'importante acquisto dell'edificio dell'ex convento paolino[200]. Per fare un acquisto di questa portata Giuseppe di Giobatta Giorgis aveva venduto ai Micoli Toscano quasi tutte le sue proprietà a Mione. I Giorgis erano gli unici carnici presenti in questo territorio insieme alla famiglia Job[201]; Martino, Giuseppe e Gregorio della frazione di Verhovine situata ai margini del paese verso Canfanaro. Il villaggio di Verhovine più tardi aveva cambiato il toponimo in Jopi[202] che mantiene ancora oggi anche se le famiglie con questa variante del cognome si sono estinte e continua ad esistere la variante modificata in Jop[203]. Alcune presenze temporanee come quella di Giobatta Pol di Mione sono documentate nel notarile. Il Pol insieme a Giobatta Giorgis, ambedue residenti a San Pietro in Selve, si era recato nella cancelleria del Castello di Sanvincenti insieme al padre e al figlio Valentin Lupieri per stillare un mandato di procura grazie alla quale Giobatta Giorgis poteva rappresentare gli interessi di tutti i Consorti di Mione in un contenzioso con la popolazione locale. Il mandato del Giorgis era per sostener e difender le di lui azioni e le ragioni contro gli abitanti della villa di San Pietro in Selve. Nello stesso periodo nei documenti del Castello di Sanvincenti viene menzionato un altro artigiano di San Pietro in Selve, M.ro Giovanni Battista de Franceschi di Francesco. Sicuramente c'erano molti altri carnici che non risultano tra i possidenti nel primo catasto stilato in Istria dal governo asburgico. Anche nell'Istria meridionale ogni borgo e villaggio più grande aveva la propria colonia di artigiani carnici che come sappiamo dalle fonti di inizio Ottocento erano prevalentemente foresti ovvero molti di loro erano stagionali. A Canfanaro erano concentrati attorno alla chiesetta di S. Valentino dove vivevano nelle loro case; Theresa vedova di Carlo Lois[204][205], Anna Maria Del Fabbro, Matteo Valle e Giovanni Lavisatti. In altre parti del villaggio c'erano Bortolo Rovis, Giuseppe Cleva e la famiglia Bearz. Nel corso dell'Ottocento a Canfanaro c'erano ancora i Revelante, i Del Treppo e i Riosa. Nella vicina Villa di Rovigno erano residenti nella prima metà dell'Novecento le famiglie Carlevariis, Fabris, Naiaretto, Lovisati, Revelante, Cescutti, Fornasari e Crosilla. Anche i villaggi più piccoli erano interessati da questi flussi migratori di lunga durata, magari con la presenza di un unico nucleo famigliare ramificato come nel caso del villaggio di Roveria (Juršići) con la famiglia Cantarutti. A Marzana come centro un pò più consistente c'erano i Gortan, Deprato, Batel, Corva, Gonan, Galante, Zuliani e i Marotti. Nel territorio di Barbana sparsi tra le varie contrade c'erano gli Agostinis, Cleva, Defranceschi, Valle, Fornasar, Zuliani, Bordon e Ventin. Una grossa colonia di carnici si trovava a Dignano dove veniva anche festeggiata la „festa dei cargnei“. Gli artigiani e i commercianti carnici si sono distinti nel tessutto sociale della cittadina della Bassa Istria lasciando una forte traccia nell'identità stessa della popolazione dignanese. Dei numerosi nuclei famigliari presenti fino al XX secolo i più importanti erano i Del Zotto, Gortan, Cecconi, Lupieri, Sottocorona, Cleva, Giacometti, Alessio, Pinzan, Decaneva , Valle e Verla.[206]
Nel 1824 il borgo di Sanvincenti veniva descritto in questo modo; „ Gli abitanti di San Vincenti sono tutti Forastieri da Rovigno, da Barbana, dal Friuli, dalla Carnia specialmente vennero ad abitare queste terre. È noto abbastanza quanto siano laboriosi, economi, industriosi, destri ed accorti li Carnielli...Qui si trovano Sarti, Calzolaj, Tessitori, un Fallegname, un Muratore ma questi artefici sono tutti stranieri.“ La scarsa propensioni ai vari mestieri artigianali dei locali era vista come la causa dell'arretratezza economica della provincia.[207] Le competenze e il know how nonchè la disponibilità di addattamento erano state individuate come le carrateristiche del successo dell'inesto dei montanari carnici nel contesto istriano; “Questa qualità impiegata in mezzo alla ignoranza e all'inerzia degli Istriani Schiavoni mettamorfosarono il Fabbro, il Sarte, il Calzolajo, il Tessitore, in altrettanto agiati Possidenti di più o meno estese proprietà e questa metamorfosi continua a verificarsi ogni giorno“ [208] I Cargnelli diventaronno possidenti a causa dell'insolvenza degli Istriani ovvero dei loro clienti o commitenti, non essendo in grado di pagare il lavoro del muratore o i vestiti commissionati ad un sarto si pagava con il passaggio di proprietà di qualche fondo agricolo. La stessa cosa poteva succedere per la mancata restituzione di un prestito. Dalla Numerazione delle abitazioni dei sudditi del Castello di S.Vincenti del 1820[209] si evince che il 40 % delle case era di proprietà dei carnici. Alcuni di questi erano stagionali mentre la maggioranza invece stava cum loco et foco.[210] L'arrivo continuo di nuovi abitanti nel periodo dal XVI al XIX secolo era una costante del flusso migratorio dalla Carnia verso questa contrada istriana. Anche durante l'Ottocento questo fenomeno era continuato come ad esempio nel caso dei fratelli Alessio, di Giorgio Galante procuratore di Giobatta Lupieri, il bandaio Giuseppe Cioli (1837), Maria Loy moglie del muratore Matteo Zarattino, Santa Gonan moglie di Andrea Manzin coloni della Stanzia Grimani, il contadino Giacomo Marcolin, i coniugi Valentino De Franceschi di Claudinico e Margherita D'Agaro di Pesariis (1821), il signor Giovanni Prencis, Giovanna Beorchia moglie del sarto Giovanni Vernier (1835), le famiglie Monti, Marini, Gortan, Comin e Della Pietra.[211]
Questo gruppo sociale distinto si era dimostrato come molto dinamico e lo dimostrano i vari atti notarili che documentano le più svariate attività ecomomiche e sociali improntate sul denominatore comune dell'appartenenza regionale e sull'accumulo di ricchezza. Nello Status animorum del 1734 M.ro Giacomo Carlevariis tessaro, insieme al suo aiutante Antonio Gortan viveva in affitto nel magazzino vicino alla piazza del paese di proprietà di Giobatta Fiorencis cargnello. Nel 1799 il muratore M.ro Giobatta Misdaris residente a Sanvincenti per un lungo perido, vecchio e senza figli, aveva designato un suo conpaesano di Liariis Giacomo Misdaris come suo figlio addottivo. Giacomo si era obbligato di trasferirsi in Istria con la moglia oriunda della Carnia anch'essa e di starvi cum loco et foco e di obbedirlo e rispetarlo e di prendersi cura dell'anziano muratore. Quasi tutti i contatti sociali più importanti erano imperniati sui legami stretti in patria. I carnici prestavano denaro ad usura ai sudditi del Castello ma anche tra di loro avevano rapporti di questo tipo come nel caso del livellante M.ro Sebastian Rupil e dei livellari Giacomo Vernier e Francesco Fabris, i testimoni erano Sebastiano Agostinis e Pellagio Corva. La cifra prestata al tasso del 6 % era abbastanza alta, 4200 lire più altre 1900, e come pegno erano stati ipotecati i beni dei contraenti sia in Istria, una casa, caneva, bottega, arti de tesser e una casetta, nonché alcuni terreni in Carnia nella villa di Entrampo da dove era originario il Fabris. In sostanza si trattava della cessione di un'attivittà da tessitore compresi i beni immobili. Per Francesco Fabris aveva garantito il padre mandando una lettera al notaio Alvise Davia mentre per il Vernier i suoi fratelli di Sanvincenti. Se il Fabris era originario del villaggio di Entrampo i Vernier erano residenti a Sanvincenti da molto tempo infatti sono documentati anche nello Status animorum del 1734. Nei contratti matrimoniali la strategia era la stessa, lo stesso status economico e l'appartenenza regionale.
Lo studio dell'emigrazione dalla montagana
friulana verso le contrade istriane come case study offre spunti e
sfaccettature completamente nuove e inedite per lo studio della storia della
composizione etnica, nazionale, linguistica ed economica e sociale della
penisola istriana. L'artigianato e il commercio dei migranti cargnelli era
diventato un vettore di comunicazione culturale a più livelli; nella sua
dimensione linguistica, nazionale, economica e sociale. Questo apporto, molto
più cospicuo e importante di quanto si era creduto fino ad ora nella
storiografia, sia italiana che quella croata e slovena, ha contribuito in
maniera decisiva al patrimonio di diversità che caratterizza la società
istriana per gran parte della sua storia. Una corretta lettura ed
interpretazione delle fonti dirette, in primo luogo il notarile e i libri
parrocchiali, insieme alla storiografia prodotta in Friuli, potranno aiutarci a
svelare le lacune riguardanti questi temi. La società istriana, composita e
diversificata, era stata influenzata e plasmata anche dal contributo dato dai
migranti provenienti dalle montagne della non molto lontana Carnia.
[1] Vedi Lia De Luca; „ Venezia e le immigrazioni in Istria nel Cinque e Seicento“, Dottorato di ricerca Università Cà Foscari Venezia, 2011.
[2] Come ad esempio nel caso dei montenegrini di Peroi.
[3] Archivio di Stato di Venezia, Risposte di fuori, filza „Serenissimo Principe. Ho cavato io Zorzi Poropatich, Capitano et devottissimo servitore della Serenità Vostra, del paese Turchesco vintitre famiglie et case et quelle ho l’anno 1585 ridotte con la mia scorta ad habitare sotto Parenzo in luoco derelitto et abandonato chiamato la Fratta, hora ridotta con la gionta di altre dieci famiglie oltre le predette, a bonissima Villa, con case coperte di coppi et altre fabriche opportune et necesarie al bisogno di tante persone, le quali guidate da questo esempio et dalla necessità che si fa, non solo moltiplicaranno la habitatione di detta Villa, ma ne riduranno delle altre ancora in benefficio et augumento delle cose publiche.“
[4] Idem, filza . Da una supplica al capitano di Raspo del 1584 si evince la provenienza di alcuni coloni Morlacchi: „Chirin Stoinich da Zin, già villa del territorio di Zarra, hora occupata da Turchi, l’anno 1580 con altre quatordici famiglie se ne fuggì dal detto loco, abbandonando le loro case, terre, animali et ogni altra cosa che ivi possedevano. Et nudi senza alcuna sorte de beni sono venuti ad habitare nell’Istria, in villa di Gabriga, distretto di Parenzo territorio di Vostra Serenità, et fin hora con le loro fatiche et stenti, tutto che privi d’ogni sorte di beni, hano campata la vita, riconoscendo Vostra Serenità per suo benigno principe et signore“ . Nel territorio di Sanvincenti il grosso villaggio di Resanzi, indicato anche come Villa de Resenzi , porta il nome del luogo d'origine degli abitanti che dovrebbe essere l'omonima località nell'entroterra di Zara.
[5] Archivio di Stato di Venezia, Risposte di fuori, filza 382.
[6] Idem, filza 391.
[7] Idem, filza 379.
[8] Non tutti gli abitanti dell'ex Contea di Pisino si definiscono in questo modo. Ci sono anche altri gruppi subetnici di riferimento come i Fučki e i Bazgoni per le aree del Pinguentino. Comunque il fatto che anche all'interno della popolazione croata esiste la consapevolezza della diversa origine e presenza temporale è un chiaro segnale anche agli storici per quanto riguarda la colonizzazione dell'Istria. Gli abitanti delle aree del parentino e dell'Istria meridionale parlano un dialetto croato ciakavo con molti elementi della variante stokava tipica di alcune parti della Dalmazia mentre il dialetto dell'interno dell'Istria è più arcaico.
[9] Sandi Blagonić, „Od Vlaha do Hrvata, Dai Morlacchi ai Croati.La dicotomia politica austriaco-veneziana ed i processi di differenziazione etnica in Istria“, Zagabria, 2013. pag. 17-68
[10] Vedi Slaven Bertoša:“Levantinci u Puli“, Pola, 2003
[11] Miroslav Bertoša:“Istra: Doba Venecije (XVI-XVIII.stoljeće), Pola. 1995. pag. 82-123.
[12] Carlo De Franceschi, „L'Istria. Note storiche“, Parenzo, 1879, pag.366. Secondo il Kandler gli avanzi di questa colonizzazione sarebbero le famiglie Salambatti, Morosin, Ferlin e Follo sparse per il territorio del comune di Sanvincenti. Dall'analisi dei libri parrochiali di Sanvincenti emerge che i cognomi Salambat e Morosin sono presenti nel territorio già dal XVI secolo. Il villaggio di Morosini era fuori dal feudo di Sanvincenti e apparteneva a Duecastelli. La famiglia Salambat, che ha dato il nome all'omonima frazione era presente anche nel Castello di Sanvincenti e lo prova un'iscrizione sulla casa che avevano costruito nel 1734. I discendenti di questa colonizzazione dovrebbero essere le famiglie Ferlin, Follo e Francaz (o Francaccio) che erano state stanziate lungo le tre vie che portavano verso il territorio arciducale di Gimino perché Sanvincenti era una fortezza di confine a rischio e per custodire il bosco di Preseca jus del feudatario. Erano stati stanziati in posti strategici a ridosso dell'area spopolata del confine e delle diferentie dopo la Guerra di Gradisca. Nel Castello e nelle stanzie c'erano i Bergamo, i Ferrara, i Toffolin e forse i Facchineti. Le famiglie Bergamo infatti vivevano anche nella stanzia di propietà dei Grimani e nella Stanzia Pergament. Questi dati sono confermati anche da una carta della Gurisdizione di Sanvincenti fatta fare da Giacomo Grimani nel 1701 e custodita presso il Vescovato di Parenzo. I cognomi menzionati sono tipici del Veneto e sono ancora oggi presenti in alcune aree del trevigiano.
[13] Le otto famiglie di contadini erano le seguenti; Facchini, Fachineto, Fasinato, Pisatto, Zaninel, Sermioni, Franchetto e Basato. C'erano altre tre famigli già residenti sul territorio. Nel Catasto franceschino del 1820, due secoli più tardi non c'erano piu tracce di questi coloni trevisani.
[14] Gianandrea Gravisi: „Saggio di commento sui cognomi istriani“ in Pagine istriane, Capodistria, 1907, pag.179-197.
[15] Cit. Alessio Fornasin; „Ambulanti, artigiani e mercanti; l'emigrazione dalla Carnia in età moderna“, Verona, 1998. Da un documento del Archivio privato Grimani di Venezia, busta 2, San Vincenti.
[16] Archivio di stato di Pisino; Gimino, Status animorum 1782-1829.
[17] Vedi „Enciclopedia dell'italiano“, Treccani, 2010; Anche il rapporto tra un etnico e un cognome può essere più complicato di quanto appaia: per es., il cognome Cargnello (e varianti) può venire dall’etnico connesso con Carnia, regione del Friuli, oppure da un nome relativo a un’attività, avendo come base il termine cargnello (derivato dall’etnico) „tessitore“, un mestiere che i cargnelli esercitavano in tutta la Pianura Padana. Va considerato, inoltre, che la forma del cognome odierno può aver subito cambiamenti nel tempo attraverso la trasmissione a livello sia di lingua orale che di tradizione scritta: fraintendimenti, adeguamenti all’italiano, tendenze nobilitanti, procedimenti paretimologici possono avere in vario modo condizionato la forma di partenza svisandola non poco. Di conseguenza la forma che si possiede ora può non essere che il risultato di tutto ciò, e solo in pochi casi è possibile ricostruire la storia del cognome.
[18] Slaven Bertoša: „ Etnička struktura Pule i njezinih sela u prvoj polovici XVII. stoljeća“, in Vjesnik istarskih arhiva, 1996-1997, pag. 253-296. Il cognomi più frequenti erano Furlan ( 49 menzioni), De Agustino (16 menzioni) e Della Fornera (17 menzioni).
[19] Ad esempio Declevi a Visignano, Galanti a Gimino, Bertoni a Caldier, Grobenico dei Cargnelli, Crameri a Racottole, Giorgichi o Cargnelichi a San Pietro in Selve ( dalla famiglia Giorgis), Pinzani a Montreo, Mureri, Meloni e Dagostini a Montona e tanti altri.
[20] Alessio Fornasin; „Ambulanti, artigiani e mercanti“, pag. 153.
[21] G.B. Lupieri, a cura di Bianca Agarinis Magrini: „Memorie storiche e biografiche“ Udine 2010, pag.14.
[22] Carlo Ginzburg, „Il formaggio e i vermi“, Udine 2003.
[23] Alessio Fornasin; „Ambulanti, artigiani e mercanti“, pag.35.
[24] Cit. Paolo Roseano, „Agrons“ pag.14
[25] “Gli altri popoli che abitano questo paese, sono quelli della Carnia, uomini industriosi, che lavorano la lana, tessono grisi e rasse per vestir il basso popolo, e lavorano d'altri mestieri simili, e di questi sono sarti, fabbri, scalpellini,tagliapietra, magnani e d'altre arti manuali; servendo nel paese esercitano i loro buoni ingegni e ne cavano grossi utili; a' quali, aggiunta la loro parsimonia, alcuni sono divenuti molto comodi e ricchi in breve tempo. Son uomini di bel sembiante, e con tali modi e con i traffichi aiutano la provincia. Hanno questi sparsa la loro stirpe per i villaggi piu’ grossi, ed anco nei castelli e terre murate, e non sono così antichi come sono gli Schiavoni.”
“A questi Carni, detti comunemente Cargnelli, s'uniscono molti Friulani che sono popoli da essi non molto lontani; parte sempre si fermano nel paese o nelle terre o sopra qualche possessione, parte si trattiene a lavorare in certi tempi dell' anno, poi ritornano al paese con li danari guadagnati "
[26] Archivio parrocchiale di Momiano, Liber copulatorum, 1831-1930.
[27] Alessio Fornasin; “ Ambulanti, artigiani e mercanti“, pag.29.
[28] Secondo Camillo De Franceschi a Bogliuno c'erano numerose famiglie di borghigiani estinte alla fine dell'Ottocento come i Gonano, Fedele, Peruzzi... “ I castelli della Val d'Arsa“ in Atti e memorie della società di archeologia e storia patria, Vol. XIV, Parenzo 1898, pag. 337-356.
[29] „Clavajas, il nesti pais“ 2006.
[30] Il testamento di Giovanni Micoli è uno dei rari casi di testamenti di tessitori carnici con inventario di bottega compreso. Giovanni qam Filippo Micoli era sposato con Catterina Micoli Toscano dal 1708 ed era originario da Muina. Il secondo documento di questo tipo custodito presso l'Archivio di Stato di Udine è il testamento del tessitore e sarto di Chialina d'Ovaro Pietro De Prato morto nella villa di Decani nel territorio di Capodistria nel 1752. Il documento era stato stilato a Mione nella casa del notaio Giovanni Crosilla Toscano. Pietro insieme al padre Giobatta gestiva la bottega di Decani, dopo la sua morte il padre affitava la sua attività per sei anni al figlio Valentino e al compaesano Francesco De Prato con l'obbligo di pagare l'affitto al conte Bernardo Gravisi di Capodistria. I testimoni erano il padre del notaio Francesco Crosilla Toscano, Osvaldo Capellari di Pesariis, Giobatta Giorgis e Giacomo Pascoli. Vedi; Roberto Starec; „Coprire per mostrare, L'abbigliamento nella tradizione istriana (XVII-XIX secolo), pag.319.
[31] La soccida è un contratto agrario di durata variabile, tra il proprietario di un fondo e un affittuario o fra un agricoltore e un borghese portatore di capitali, in base al quale le parti si associano per l’allevamento del bestiame e l’esercizio delle attività collegate, dividendosi poi i proventi costituiti da bestiame, carne e latticini.
[32] Cit. Albeto Burgos: „Toscjan. La famiglia Micoli Toscano e Aplis“, Tolmezzo, 2008, pag 198.
[33] Il cognome deriva quasi certamente dal latino ‘crux’, croce, da cui ‘crusilla’, piccola croce: «Forse si trattava in origine di un riferimento al tipo toponimico Crôs ‘croce’, frequente in varie comunità friulane. Il latino Crosilla poteva venir usato per indicare un incrocio di strade oppure un luogo in cui era stata collocata una croce»: E. DE STEFANI, Cognomi della Carnia, cit., p. 197.
[34] Alberto Burgos, pag.197.
[35] Odemburgo è la città ungherese di Sopron, all'epoca una città abitata prevalentemente da Tedeschi.
[36] Paolo Roseano; „La veneranda fraggia di San Rocco di Agrons e Cella in Carnia“, pag. 127-155, in Quaderni storici del Dipartimento di scienze politiche dell'Università di Trieste, - Confraternite cristiane e musulmane , Trieste 2001.
[37] Alberto Burgos, „ Toscjan. La famiglia Micoli Toscano e Aplis.“ , in „ Aplis una storia dell'economia alpina in Carnia“, pag 169, Tolmezzo, 2008.
[38] Alessio Fornasin; „Ambulanti, artigiani e mercanti“, cit. pag. 114.
[39] Idem; cit.pag.114
[40] Archivio di Stati di Pisino, Sanvincenti notaio Alvise Davia, 1787-1789.
[41] Alessio Fornasin; „Ambulanti, artigiani e mercanti“, cit.pag. 114.
[42] Cit. Albero Burgos, pag. 199.
[43] Archivio di Stato di Trieste; Catasto franceschino, Comune di Cittanova, Statistica politico-economica.
[44] Catasto franceschino, Caroiba Subiente Edifici
[45] Cit. GIORGIO FERIGO, „La natura de cingari: Il sistema migratorio dalla Carnia durante l'Età moderna“, in Storia delle alpi, 1998.
[46] Paolo Roseano, „La veneranda fraggia di San Rocco di Agrons e Cella in Carnia“, pag. 130.
[47] Cristina Scarseletti, „Un esempio di emigrazione carnica in Istria attraverso la corrispondenza di Giovanni Antonio Micoli (1781-1810)“, Tesi di Laurea, A.a. 1999-2000., Università di Trieste,
[48] Giovanni Battista Lupieri, „Memorie...“, pag 7.
[49] San Giovanni Battista e l'Assunzione di Maria sono le due festività religiose più importanti della Pieve di Gorto.
[50] ASP, Sanvincenti, Liber baptizatorum 1815-, Nel 1823 al battesimo di Luigi Giacomo Corva figlio di Giacomo qam Pelagio e Maria Segalla, sua moglie, residenti nel Castello di Sanvincenti al numero civico 31 i testimoni erano Valentin Lupieri, Giacomo Vernier e Maria figlia di Giuseppe Fiorencis tutti possidenti e di chiare origini carniche.
[51] ASP, Sanvincenti. Notaio Alvise Davia, 1787-1789, pag.82. Vedi il contratto tra Giacomo Rovis di Franceso di Gimino e Antonia Fachinetti di Sanvincenti. Il giudice Benedetto Fiorencis, carnico, era lo zio materno di Antonia ed aveva stipulato le condizioni del matrimonio.
[52] Si tratta della famiglia Declich, Della Marna, Cossetto di Santa Domenica e i De Sincich di Parenzo originari di Visignano.
[53] De Colle fa l'esempio del villaggio di Crameri a Raccotole e delle varie famiglie Pinzan di Montreo. La crama era il bauletto dei materialisti carnici e cramer in tedesco indica il mercante. Mentre Pinzan e Pincan nella variante dialettale carnica è un cognome del comune di Ovaro.
[54] Antoni De Colle, „Ce fastu?“, Friulani nel comune di Visignano d'Istria /. - P. 182-200 36(1960), n.1
[55] Ivan Erceg; „Građa o gospodarskim prilikama kotara Buje, Pula i Vodnjan godine 1816“, pag.96-115, 1968.
[56] Bollettino della Reale Società geografica Italiana, Roma, 1922, pag.221-237.
[57] Gianandrea Gravisi, „Saggio di commento ai cognomi istriani“ in Pagine Istriane, Capodistria, 1907, pag. 179-197.
[58] Ad esempio il villaggio di Flenghi nel territorio di Geroldia in passato aveva il nome di Ligovichi e Prodani. Per il villaggio di Milanesi nel territorio di Gimino la presenza di questo cognome, Milanes(e), è accertata dalle anagrafi mentre nel territorio di Sanvincenti per Marchetti c'e' solo una traccia di questo cognome come sopranome della famiglia Ossetto nei libri parrocchiali.
[59] Nel villaggio di Smogliani i sopranomi delle famiglie Preden erano Trabacolo, Toman e Potriba. I Preden oriundi dalla Dalmazia avevano ricevuto dal capitano di Raspo nel 1642 l'investitura per alcuni terreni nel territorio di Valle; vedi Archivio di Stato di Venezia, Risposte di fuori, filza 430.
[60] Ghergo Pustianaz Scaramella viveva nel 1805 come famejo (famiglio o servo) nella casa di Giovanni Bercan a Sanvincenti. Famigli, cioè i domestici ma sovente erano lavoranti generici che venivano impiegati sia all’interno della casa sia in attività agricole e di manutenzione. Nello stesso periodo il contadino Biagio Scaramella era proprietario di una casa e alcuni terreni nel villaggio di Pustianzi.
[61] Nel Catasto franceschino del 1820 viene evidenziata una famiglia con questo cognome tra i proprietari di case.
[62] Archivio di stato di Pisino, Sanvincenti Cause civili, 1778...in un contenzioso tra i fratelli Salambat e Valentino Lupieri.
[63] Archivio di Stato di Trieste, Catasto franceschino, Comune di Villanova di Parenzo, Elenco alfabetico proprietari dei fondi.
[64] Gianandrea de Gravisi, Scritti editi a cura di Michele Grison, Societa' di studi storici e geografici Pirano, 2015, pag. 464.
[65] Archivio parrocchiale di Momiano, Liber copulatorum 1831-1930.
[66] Idem
[67] ASP, Sanvincenti. Liber baptizatorum, 1815-
[68] ASP, Libro e straordinario e licenze, 9 luglio 1799.
[69] Alessio Fornasin, „Ambulanti, artigiani e mercanti“, cit. pag.160.
[70] Momiano. Liber copulatorum. 1831-1930...ad esempio un certo Bassa da Martiniago del Friuli faceva il tagliapietra.
[71] Nativo di Forni Avoltri, il suo decesso era stato annotato anche a Tolmezzo nel 1864.
[72] Adelchi Puschiasis, „Collina e l'alpinismo“, Monfalcone, 2015, pag. 47-59.
[73] La famiglia era presente a Cittanova fino al 1945 ed aveva creato il toponimo Villa Rainis. Armenio Rainis (1888-1962) era farmacista a Buie nella prima metà del Novecento.
[74] Dario Vojnovic-Sonia Cappellari Vojnovic; „Arte farmaceutica e farmacisti a Cittanova d'Istria“, in Atti del CRS Rovigno, Rovigno, 1988, pag. 129-141.
[75] Il cognome deriva da Ruvis, un toponimo ovvero una località dell'abitato di Claudinico che in friulano significa rupe o dirupo.
[76] Agrons, insieme a Cella è un piccolo villaggio del comune di Ovaro. In passato gran parte degli abitanti erano tessitori stagionali. L'abitato oggi conta 42 abitanti. Nel censimento del 1761 c'erano 10 fuochi per 45 anime.
[77] Martin Modrušan, „Skroviti podaci u žminjskim matičnim knjigama“, in Libar žminjski, libar drugi , pag. 107-115.
[78] Alojz Štoković; „ Žminjske bratovštine“, in Libar žminjski, libar drugu, Gimino, pag. 85.
[79] Cit. Paolo Roseano, „Agrons“, pag. 19
[80]Paolo Roseano, „Agrons“, pag.391.; „Doverà esso Antonio servire il sudetto Rovis anni N° sette si nel tempo che sarà nell’Istria, che quando ritornerà qui in Patria, a tutti que comandi di qualsivoglia sorte, che dalla discrezione del Patrone gli saranno comandati, e perche si è di solito, che il servitore sia obligato a servire a Gratis il Patrone solamente anni cinque, overo tre, e in tale caso contar al Patrone Ducati N° dieci, qual contrato non è al Caso il sudetto Tolazzo di poter abbrazziare, rapporto il di lui miserabbil stato, perche doverebbe soministrargli al Figlio ogn’anno il spendere nel portarsi nell’Istria, e mantenirlo vestito detti anni cinque, e in grazia che il Patrone s’è obligato di subito arivato nell’Istria di vestirlo, e mantenirlo vestito da Capo, a piedi durante detto contratto sono convenuti, ch’abbia a servirlo li sudetti due anni di più del solito.“
[81] Paolo Roseano, „Agrons“, pag. 20
[82] Dal nome di persona Marina. Il cognome è caratteristico di Gemona (38 famiglie nel 1929) dove è documentato dal 1499, anno in cui era cameraro Dorigo de la Marina e nel 1547 il m° arthico della marina fece la portella della fontana usando chiodi da doi bagatini ...
[83] Urban, Urbano; dal nome di persona Urbano. La forma Urbàn si trova a Latisana, Lignano, Piedim di Arta, Palazzolo, Tramonti di Sopra, Tolmezzo, Pasiano di Pordenone, Codroipo, Udine, Porpetto, Vasinis di Trasaghis (1612 blasio di urban della villa di Avasinis; 1622 Veneria relicta q. Antonij Urbani de Avasinis). La forma Urbani è caratteristica di Gemona (35 famiglie nel 1929), dove è documentata almeno dal 1575 e si trova anche a Cassacco, Udine, Tavagnacco. La forma Urbano è tipica di Variano di Basiliano e Treppo Carnico.
[84] Paolo Roseano: „ La veneranda fraggia di San Rocco di Agrons e Cella in Carnia“, cit. pag. 137-146; „...il sindico Micoli il quale riferendosi al credito di 65 lire di Maria Della Biava annota „credo abbia bisogno di rinnovarli“. I Marini erano membri della fraglia, fittavoli a lungo tempo ai margini della società locale. Maddalena Del Fabbro nel 1712 nel suo testamento disponeva un legato alla confraternità.
[85] AAVV, „Libri žminjski, Libar drugi“, Gimino, 2008, pag. 110-112.
[86] ASP, Sanvincenti. Liber baptizatorum
[87] Paolo Roseano, „Agrons“, pag. 17
[88] Il sopranome di Giacomo era Jerolimich.
[89] Dean Brhan, „ In partibus Carsi et Istriae-L'emigrazione dalla Carnia verso l'Istria (XVI-XIX secolo), in Atti Centro di ricerche storiche Rovigno, 2004, pag. 490.
[90] Aplis, pag.245.
[91] 1619- Matteo del fu Lorenzo Erman abitante nella villa di Noiareto sopra Agrons vende a Natale di Biagio Prencis di Mione un livello in ragione del sette per cento all’anno su un capitale di sette ducati e mezzo.
[92] Idem, 1791-Benedetto qam Pietro Erman di Mione vende due prati, 1831-Giobatta Erman permuta un prato chiamato Tarondo...
[93] Cit. Paolo Roseano, „ Agrons“, pag. 20
[94] Comin o la a forma Cumìn si trova soprattutto a Versa di Romàns d'lsonzo; presente anche a Gorizia, Monfalcone, Campolongo al Torre, Ruda, Fogliano-Redipuglia.Cumini si trova a Udine, Cormòns, Cividale, Premariacco, Cassacco, Tricesimo.
[95] Revelant; probabilmente da un antico revelâ(si) "ribellarsi" e, quindi, Revelànt potrebbe avere il significato di "ribelle". Il caso sarebbe simile a quello di barufànt "attaccabrighe", dal verbo barufâ. Cognome caratteristico di Magnano; ben rappresentato anche a Tarcento e Arta e presente a Gemona (11 famiglie nel 1929), Udine, Tricesimo, Paularo.
[96] Il chirurgo richiama la figura del cerusicus, apprende la pratica da colleghi più esperti ed è ritenuto di grado sociale più elevato del barbiere, per dignità di mestiere e per rango, anche se inferiore al dottor fisico. Utilizzando strumenti come coltelli, pinze, aghi, sistro e cauterio, tratta col ferro e col fuoco malattie “esterne” o croniche o giudicate insanabili come toruoli (ulcere veneree), aposteme (tumori purulenti), cataratte, scabbie, tigne, alopecie.
[97] Miss o Mis è un cognome friulano presente anche a Sanvincenti in Istria; in Carnia invece nelle località di Paluzza nella Val di But, Cercivento in Valcalda e come aggiunta al cognome come nel caso del cognome Candiotti Mis. A Pola nel 1663 era morto M.ro Battista Mis da Buia nel Friul.
[98] È un cognome tipico di Rigolato, un'area a forte immigrazione sia verso l'Istria che verso numerose altre direzioni. Ad esempio Giobatta Vezzil era morto a Wiener Neusdtadt in Austria nel 1750 dove la famiglia era residente da tempo. Maddalena Debegliuch viene indicata sia con il cognome Vezzi nello Status animarum e in altre fonti Vezzili. Nella variante Vezzi il cognome esisteva nel villaggio di Cercivento.
[99] Cuchiaro; dal tedesco Kutscher "conducente di cocchi" (Frau, 1989) o dal friulano cùcjar avente il medesimo significato. A Gemona nel 1547: ... tanti dati al fiolo del cuchier per mandarlo a Udene a portare una littera ... Il cognome è caratteristico di Alesso (com. di Trasaghis) dove è documentato dalla fine del 1500 (Tomat, 1988) e dove è tuttora molto diffuso. Ben rappresentato anche a Gemona, dove e documentato almeno dal 1575 ma, forse, il cuchier sopra citato era già cognome (13 famiglie nel 1929). Si può trovare pure a Tolmezzo, Osoppo (1625 Jacobus fil. q. Joannis Cuchieri de Alexi; 1631Cattarina filia Stephani Cuchiari di Villa Peonis), Udine, Povoletto Tarcento, Tavagnacco, Peonis di Trasaghis (1595 Valantin Cuchier).
[100] La levatrice o la mammana come viene indicata nelle fonti assisteva le donne durante il parto in casa, con compiti di ostetricia e di pediatria, è un esempio di medicina praticata da donne.
[101] Sull'origine del cognome Lupieri in Carnia, relativo ai Lupieri di Preone; cit. Elwys De Stefani, „Storia e gente del Friuli attraveso i cognomi“, pag181-183;“ Se rimaniamo fedeli all’antica scrizione del nome di famiglia Lupieri, esso non va ricondotto all’immagine del lupo, come propone De Felice 1978, 155, bensì al nome di persona Piero, in friulano Pieri. Gli abitanti di Preone spiegano ancor oggi che Lupieri risale al nome di persona Pieri e l’attestazione del 1529 «lu Pieri» dà loro ragione. Dobbiamo riconoscere nella prima parte del cognome (lu) un uso particolare dell’antico articolo maschile volto a creare un patronimico. Che la popolazione di Preone avesse interpretato l’articolo maschile in tal modo, lo testimoniano le numerose attestazioni relative al cognome Piccoli.“
[102] Luint è un villaggio di una quarantina di case nel comune di Ovaro nel quale spicca per mole la dimora signorile in stile carnico dei Lupieri-Magrini. Nella chiesa di Santa Catterina c'era la sede della confraternità di San Valentino.
[103] Paolo Roseano; „ La veneranda fraggia di San Rocco di Agrons e Cella in Carnia“, pag. 142.
[104] ASP, Sanvincenti, Liber baptizatorum; 1711-Simon di Micho Salambat, e 1713-Vicenzo Bercan di Steffano teste M.ro e D.no Matteo Lupieri.
[105] Alessio Fornasin; „ Ambulanti, artigiani e mercanti“, pag. 120.
[106] Cit. PAOLO ROSEANO: „ La veneranda fraggia di San Rocco di Agrons e Cella in Carnia“, pag. 130.
[107] Il valore della dote era di 3 806 lire.
[108] Il documento si trova custodito presso l'Archivio di stato di Udine nelle carte del notaio Giovanni Micoli. ASU-ANA, busta 2984.
[109] Danijela Doblanović,“Feudalna uprava Svetvinčenat, Giurisdizione feudale di Sanvincenti 1687-1831“, Inventario analitico,
[110] Giovanni Battista Lupieri; „ Memorie storiche e biografiche“, pag.14.
[111] Giovanni Battista Lupieri; „ Memorie storiche e biografiche“, pag.54.
[112] ASP, Sanvincenti. Liber baptizatorum
[113] ASP, Gimino, Liber matrimonium, 1830-1851.
[114] G.B. Lupieri, Memorie...pag.63.
[115] Giovanni Battista Lupieri; „ Memorie storiche e biografiche“, pag.51
[116] Bianca Agarinis Magrini; „ Funesti effetti di negligenti
[117] Alberto Burgos; „ Toscjan, la famiglia Micoli Toscano e Aplis“, Udine. 2008, pag. 161-250.
[118] Idem, cit.pag. 173; „Per meglio dire, si stabilisce a Mione quella parte dei Toscjan che formerà il ramo principale della famiglia, perché nel registro dei battesimi del XVII sec. figurano nati a Luint vari Toscjan, che in seguito, evidentemente, non avranno discendenza, e comunque non acquisiranno particolare rilievo; sicuramente alcuni di loro si trasferiscono in Istria, senza però lasciare tracce di corrispondenza, contratti, ecc .“
[119] Antonio De Colle; „ Friulani nel comune di Visignano d'Istria“; Piero Micoli qam Stefano muore a San Vitale nel 1734...forse da qui alcune proprietà della famiglia in questa contrada relativamente lontana da Pinguente.
[120] Idem, cit. pag 201.
[121] Era uno dei fratelli Rovis di Agrons domiciliati anche a Gimino.
[122] Idem. cit. pag. 199.
[123] Cit. G.B. Lupieri; „Memorie storiche e biografiche“, pag.76
[124] Pur essendo stato il presidente della Sala di lettura croata (Hrvatska čitaonica) di Lindaro dalla sua fondazione nel 1883 Inocent Fabris non aveva soddisfatto le aspettative del locale partito croato che lo riteneva poco radicale e troppo collaborativo con il partito italiano di Pisino. Vedi; Božo Milanović; „Hrvatski narodni preporod u Istri“, Pisino, 1973, pag. 168. Vedi anche; Vanni D'Alessio; „ Elites nazionali e divisione etnica a Pisino a cavallo tra XIX e XX secolo“ in Quaderni storici 94, Roma, 1997.
[125] Giuseppe Fabris Basilisco; nacque a Sanvincenti nel 1837, figlio del possidente Antonio, proveniente dalla Carnia, e di Elisabetta Bradamante. Compì gli studi a Udine e all'università di Padova, dove si laureò in legge nel 1860. Praticante d'avvocatura a Trieste, nel 1862 venne condannato a un anno di carcere "per dimostrazione politica" e relegato nella fortezza di Temesvar. Nel 1866, alla vigilia della guerra, si sottrasse con la fuga oltre il confine al procedimento penale intentatogli "per alto tradimento". L'amnistia del 1867, dopo la pace, estinse l'effetto dell'accusa ed egli ottenne a Venezia la cittadinanza italiana e il diritto d'esercitare l'avvocatura. Condusse allora una vita inquieta, tra Milano, Venezia e Roma, rimasto vedovo di Lodovica Orlancich che aveva sposato giovanissimo. Fu un fervido agitatore dell'irredentismo, venne eletto presidente dell'Associazione delle Alpi Giulie, fu più volte firmatario di proteste contro il governo (per il divieto di recare le bandiere dell'Istria e di Trieste alla commemorazione dei martiri di Belfiore nel 1878 e ai funerali di Vittorio Emanuele II) e di articoli sul Tempo di Venezia, il cui direttore on. R. Galli era suo amico e sostenitore della causa dell'irredentismo. Peraltro il suo contegno, durante il processo per calunnia intentato ad alcuni emigrati da certo Giacomo Rietti, cittadino italiano residente a Trieste accusato d'essere una spia dell'Austria, parve ambiguo; i querelati, per l'assenza del Fabris, testimone della difesa, vennero condannati per diffamazione, ma successivamente (1880) in appello la condanna venne loro condonata. pressato da necessità finanziarie, si sia indotto a offrire informazioni sull'emigrazione politica alla luogotenenza di Trieste (novembre 1881); chiedeva in cambio di poter rimpatriare e di venir compensato con l'acquisto a prezzo di favore dei suoi terreni di Canfanaro e Sanvincenti in Istria. Nel 1882 grazie ad una sua soffiata er afallito l'attentato a Francesco Giuseppe e furono arrestati Guglielmo Oberdan e Donato Ragosa a Ronchi. Il Fabris rientrò l'anno dopo in Istria, rinnovò offerte d'informazioni e richieste di denaro alla luogotenenza di Trieste, cui denunciò pure nel luglio 1886 un presunto attentato che doveva aver luogo a Pola in occasione della celebrazione della vittoria austriaca di Lissa. Negli anni successivi questo contraddittorio personaggio si isolò del tutto dalla politica, soggiornando alternativamente in Istria e nel Veneto, dove venne a morte all'ospedale di Padova nel 1913. Da Enciclopedia Treccani, Dizionario Biografico degli Italiani, volume 43, 1993.
[126] Un caso a parte era sicuramente la famiglia De Franceschi di Moncalvo-Gologoriza, un villaggio del comune di Cerreto vicino a Pisino. La famiglia, presente in Istria dal 1650 circa, originaria di Mione si era distinta nella zona come possidente e alcuni membri della famiglia come Camillo e Carlo De Franceschi si sono occupati di storia istriana. Molti appartenenti a questa famiglia svolserò cariche pubbliche ed ecclesiastiche in Istria e in parte in Carnia. Rimane non chiaro il loro legame con le radici carniche che erano piutosto deboli se paragonate con altre famiglie presenti sul suolo istriano. In un contesto compattamente croato loro come una delle pochissime famiglie carniche del paese erano stati i promotori dell'italianità dell'ex Contea di Pisino e dell'Istria.
[127] I Crosilla a Carnizza erano presenti dal Cinquecento.
[128] Miroslav Bertoša; „ Doba nasilja, doba straha“, Zagabria, 2011, pag. 327-391.
[129] I fatti risalgono al 1756, mentre i membri della banda di Monspinoso ( Dračevac) un villaggio a pochi chilometri da Parenzo erano Pasqualin Precali, Nardo Precali, Zuanne Bestoli, Antonio Bestoli e Pietro Sambri. Dalle carte del processo emerge che Sellaro era residente in paese da 18 e Fedel da 14 anni.
[130] Paolo Roseano, „Agrons“, pag. 101; Si ha memoria di una casata carnica che riuscì ad avere riconoscimento formale di nobiltà mediante il titolo gismaniale ottenendo l’inserimento nel Libro d’oro della Nobiltà veneziana. In una lettera pervenuta al conte Enrico del Torso, datata 28 luglio 1946, Capodistria, il mittente specifica: «Gli Spinotti, oriundi di Gismania della Carnia, dove possedevano beni feudali ed erano insigniti di speciali privilegi per antiche concessioni dei Patriarchi d’Aquileia, si trasferirono a Grisignana nel sec. XVIII e nel 1789 furono iscritti nell’Aureo libro dei veri titolati della Rep. Veneta col titolo di nobili di Gismania
[131] Archivio di Stato di Venezia, Risposte da fuori, filza 434.
[132] Archivio di Stato di Trieste; Comune di Verteneglio, Elaborati del Catasto franceschino, Statistica 1826-1828.
[133] Niki Fachin; “Verteneglio e dintorni-Brtonigla i okolica“, Verteneglio 2001.
[134] Frazione di Ovaro, divise in tre borgate; Corva, Vila e Muina Abas. Sopra il paese c'era il sito abitato di Prencis abbandonato dopo la peste del 1348.
[135] Famiglie con questo cognome in Istria facevano il mestiere di tessitori a Lanischie, in Cicceria, e a Visignano per un breve periodo.
[136] Viene indicato con questo nome il complesso di case Corva-Spinotti-Morteani costruito nel 1681. Questa casa era una casa d'abitazione datta in affitto dagli Spinotti.
[137] Vedi Dean Brhan; „In partibus Carsi et Istriae“, Atti del CRS Rovigno, 2004, pag.482.
[138] ASP, Sanvincenti notaio Alvise Davia 1787-1789. Sentenze arbitrarie ,divisioni e compromessi. Contenzioso tra Barbara Corva e Martin Modrussan e Mico Salambat suoi coloni.
[139] Nelle mappe del Catasto franceschino anche Spinottova stanza.
[140] ASP, Notaio...
[141] Tutti i nominativi e i dato sono stati presi dall'analisi del Catasto franceschino; Archivio di Stato di Trieste, elenco edifici, elenco alfabetico proprietari.
[142] Berton è un cognome friulano presente a Gemona e in altre località mentre in Carnia a Enemonzo.
[143] Il cognome Spilotti è presente ina Carnia a Lauco e in altre località.
[144] Linz o Del Linz; cognome formato dal toponimo della città di austriaca di Linz, cognome presente in Carnia.
[145] Tassotti è un cognome diffuso in varie località carniche.
[146] L’epicentro di diffusione dei Candotti sembra trovarsi a Preone e Enemonzo (con la frazione Quinis), dove sino a oggi si registra la più alta percentuale di questo nome di famiglia, documentabile anche a Ampezzo dal Cinquecento. Da Enemonzo, Preone e Ampezzo il cognome ebbe a diffondersi dapprima nelle frazioni di Socchieve. Dei Candotti vivono oggi in varie regioni italiane, come nel Veneto, ma anche nel Meridione. Alcuni ceppi si sono trasferiti in Carinzia, dove troviamo i cognomi Kandut, Kanduth e Kandutsch (Klagenfurt, Villach, Feldkir I Candotto, invece, vivono a Gonars e Aviano, dove sono insediate pure le famiglie Candotto Carniel (con esplicito riferimento all’origine geografica) e Candotto Mis. Cit, da Elwys De Stefani; „Storia e gente del Friuli attraverso i cognomi“ pag.196-197.
[147] Cugnago è una frazione della Valle Agordina nel Cadore in provincia di Belluno. In Carnia c'erano molti cadorini e lo conferma anche il De Colle parlando dello zuppano Cadore di Visignano che nelle anagrafi era nominato come cargnel.
[148] Un cognome derivante dal sopranome,molto raro, nella forma di Pesamosca presente a Raunis e Casasola in Carnia.
[149] Slaven Bertoša; „Motovun i motovunština u Novom vijeku“, 2008. Pag.
[150] Miroslav Bertoša; „Etnička struktura Pule sa posebnim osvrtom na smjerove doseljavanja njezina stanovništva 1613-1720“, Vjesnik HARiP, Fiume , 1971. M.ro Pesamosche Mattio da Carnia abitante in questa città 1789-1795.
[151] Vedi Alberto Burgos. pag. 163;“...c'era l'andazzo di appiccicare ai neonati il nome dei paes e, basandosi su quanto riportato in testamenti e contratti, cita Amarese, Clavaiano, Gortano, Trujano, ma anche Florenza, Franza, Romano; «né v’era difetto di Toscani, giacchè se ne incontrava a Comeglians, a Muina, a Ovaro“.
[152] Roberto Starec; „ Coprire per mostrare. L'abbigliamento nella tradizione istriana (XVII-XIX secolo)“, Trieste, 2002, pag. 319.
[153] Nel centro del piccolo paese in una casa datata 1579 fino fino alla metà del Novecento c'era l'osteria del paese e lo ricordava la scritta „Hosteria Valentino Valle“.
[154] Furio Bianco, Alberto Burgos, Giorgio Ferigo; „Aplis. Una storia dell'economia alpina in Carnia“, pag.59.; „Compagnia de segati di Raveo, Pietro q. Leonardo Pesamoscha di Casa Sola e Bortolomio q. Zuane Marcon di Rovoredo, ambi del Canal del Ferro.“
[155] Alcuni cognomi degli abitanti di Grisignana nel 1820 sono tipici del Cadore come Balestier, Zuanelli e Benvegnù.
[156] G.F. Tommasini, „Commentari storico geografici della provincia dell'Istria“, Circolo „Istria“, Trieste, 2005, cit. pag.283
[157] Rino Cigui;“Verteneglio e il suo territorio in epoca veneziana“, Umago 2013, pag. 137-140.
[158] Cit. Paolo Roseano, „Agrons“, pag.15
[159] Ibidem, pag. 395; „M. Antonio q.m Bartolomio del Fabro della Villa d’Agrons, ora abitante in Vertaneglio nell’Istria, qui presente facendo per se Eredi &c da questo giorno in poi, ma in perpetuo, ha datto ceduto, et iure liberi venduto, previo comparsa fatta, come in calze del presente, una sua Casa sive Cuzina da fuoco, posta in detta Villa d’Agrons, sotto la Casa aquistata dall’Ellero d’Ovaro, con la 3ª parte del Coperto aspetante a detta Cuzina.“
[160] La villa di Verteneglio come vicinia insieme a Torre faceva parte del comune di Cittanova.
[161] Mistro Lorenzo Fabro molto probabilmente era un parente dei due Del Fabro di Agrons menzionati nell'atto di compravendita del 1766.
[162] Bartolomeo Rigo; „Compendio delle leggi del Comune di Cittanova dal 1481 al 1794“ a cura di Jakov Jelinčić, Cittanova, 2010, pag. 227.
[163] Spiz è un cognome presente a Paularo.
[164] Era la tipica rete di intrecci famigliari dei carnici; ovvero la consuetudine di sposare donne carniche dello stesso villaggio o dei borghi nelle vicinanze.
[165] Vedi Niki Fachin, „Brtonigla i okolica-Verteneglio e dintorni“, Verteneglio, 2001.
[166] AST, Catasto franceschino, Elenco proprietari, Comune di Verteneglio, ASP, Status animorum Verteneglio 1830-1843.
[167] Adelchi Puschiasis, „La popolazione di Rigolato all'inizio del XIX secolo“, in Metodi e ricerche, n. XXVI, 2007, pag. 44-72.
[168] La testimonianza di Vidali si riferisce al testo del 1980 in „Orizzonti di libertà“, Milano, pag.14.
[169] Adelchi Puschiasis, „Rigolato tra XVII e XIX secolo, Anime, fuochi, migrazioni“, in Quaderni dell'Associazione della Carnia, 2010, pag.52.
[170] Vedi Rino Cigui; „ Verteneglio e il suo territorio in epoca veneziana“, Umago, 2013.
[171] Osvaldo Antonio era o il fratello o un parente stretto dell'omonimo Osvaldo tresferitosi a Verteneglio.
[172] Adelchi Puschiasis; „La popolazione di Rigolato all'inizio del XIX secolo“
[173] Pietro Stancovich; „ Biografia degli uomini distinti dell'Istria“, Trieste, 1829, pag. 496.
[174] „...segue la nota del soldo ritrovato...ducati 177, soldoni imperiali 86:17, soldoni veneti 47, ducati d'argento veneti 535, talleri 42...“.
[175]Jakov Jelinčić; „Bartolomeo Rigo; Compendio delle leggi del Comune di Cittanova“, pag.
[176] Bruno Machin; „Breve storia degli antichi orologiai pesarini 1692-1998“, Udine, 2012.
[177] ASP, Cittanova, Notaio Pietro Antonio Valleri 1789.
[178] Antonio De Colle; „Friulani nel comune di Visignano d'Istria“ in Ce fastu, 1960 Udine, pag. 182-200; 1650 Pietro Culinas muratore e Mattio Colinassio cargnello, 1779 Piero Brovedan qam Leonardo cargnello, anche a Torre e Vabriga, 1796 Zorzi Fortuna da Tramonti, 1681 Daniel De Colle, 1708 mistro Anzolo De Rossi cargnello, 1683 mistro Mattio Cusset hora abitante in Grisignana, 1611 Zuanne De Cleva.
[179] Adelchi Puschiasis; „La popolazione di Rigolato all'inizio del XIX secolo“, Gracco è uno tra i cognomi più frequenti a Rigolato.
[180] Caratteristico del villaggio di Voltois.
[181] Lucia Moratto Ugussi; Buie d'Istria, famiglie e contrade“
[182] Balidor dei Agarinis, Corte del Loj, Stanzia Loj, Cleva e altri.
[183] Tutti i dati sono stati presi dal libro di Lucia Moratto Uguussi; „ Buie d'Istria, famiglie e contrade“, Collana degli Atti, CRS Rovigno, Rovigno, 2014.
[184] All'inizio del Novecento c'erano persone con questo cognome in altre 11 località istriane. Gianandrea Gravisi; vedi „Cognomi italiani tra gli Slavi della campagna istriana“, in Pagine istriane, Capodistria, 1907.
[185] Antonio De Colle, „Friulani nel comune di Visignano d'Istria“ in Ce fastu, 1960, pag. 188.
[186] Giovanni Battista Lupieri; „ Memorie storiche e biografiche“, pag.7.
[187] Nel corso dell'Ottocento in paese si erano trasferiti le famiglie Palma e Topani.
[188] Adelchi Puschiasis; „ Guadagnarsi il viver con varie sorti di marcanzia.L'emigrazione da Rigolato attraverso i libri parrocchiali (XVII-XIX secolo)“ in Metodi e ricerche 2008, cit.pag. 68.
[189] I Dell'Osto a Visignano sono documentati dal 1616.
[190] Roberto Starec; „Coprire per mostrare, L'abbigliamento nella tradizione istriana (XVII-XIX secolo), pag.
[191] Vedi Adelchi Puschiasis
[192] Antonio De Colle; „Friulani nel comune di Visignano d'Istria“; 1782 mistro Francesco Del Missier dalla Villa di Mione in Cargna padrino ad un battesimo a Visignano.
[193] Il messier in friulano indica lo suocero.
[194] Alberto Burgos, cit.pag. 245; i fratelli Del Missier vendono a GioBatta Micoli Toscano parte di due case a Mione, terra arativa in Launal, campi in Gleria di sotto e Gleria di sopra, vari prati (Chiampol in Valinia, prato dai Staj in Prencis, Chièbia, Puscarona, piè dei Prati, “la quarta parte dell’erba di Monte sopra Lavinai, la quarta parte della Comugna di Pleas, la quarta parte dell’arativo Verzei”).
[195] Più tardi nel corso dell'Ottocento avrà un ruolo importantissimo nella storia della città la famiglia Danelon.
[196] Pietro Stancovich; „Biografia degli uomini distinti dell'Istria“, Trieste 1829, pag. 495.
[197] Vedi Miroslav Bertoša; „Etos i etnos zavičaja“, Pola-Fiume, 1985. I De Franceschi di Moncalvo erano origianari di Agrons e i loro consanguinei abitavano nelle villa di Mione. Non sono da confondere con i numerosi De Franceschi carnici presenti in Istria in altre località o con i De Franceschi di Umago che hanno un'origine completamente diversa.
[198] In questo caso è sicuramente indicativo l'aspetto linguistico e semantico del modo con il quale venivano identificati in un'area compattamente croata.
[199] Giovanna Giorgis era sposata con il cittadino Francesco Rovis. Regina Lupieri vedova di Giacomo Rovis in seconde nozze nel 1856 aveva sposato Luigi Giorgis.
Archivio di Stato di Udine; Stato civile Comeglians 1900; nel 1900 uno dei discendenti di Giuseppe, Antonio si era sposato a Comeglians.
[200] Alberto Burgos; cit. pag.244; Dall'elenco dei contratti dell'Archivio Micoli Toscano si vedono le numerose vendite dei Giorgis; 1803- GioBatta Giorgis vende a Giovanni M. T. un prato in Raviestis, 1808- Antonio q. GioBatta Giorgis vende a Giovanni M. T. un prato in Raviestis, 1819-Giobatta Giorgis vende a Francesco e a Giovanni q. Giovanni Micoli Toscano un fienile con stalla, 1829-Giuseppe q. GioBatta Giorgis vende a Francesco e Giovanni q. Giovanni M. T. una grossa proprietà consistente in una casa e annessi a Mione, vari campi (Lùnas, sotto la chiesa, Tràment, Frassenèt), prati di campagna (Fusiès, Rive Plans, Bèncul, Soraplin), prati di montagna (Sorastaipe, Piussària, Gièbia, Orala).
[201] Variante di Jop "Giobbe" o forma contratta di Jacob(o) variante di "Giacomo". Cognome tipico di Dieç nel comune di Tolmezzo (Illegio di Tolmezzo). Abbastanza frequente a Ospedaletto di Gemona (18 famiglie nel 1929); si trova pure a Cervignano, Tarcento, Udine, Magnano, Reana.
[202] Il cognome era mutato da Job in Jop. La Biblioteca civica di Udine è intitolata a Vincenzo Joppi.
[203] Nella villa vivevano ancora le famiglie Tervisan, Sauron e Carpcich.
[204] Alberto Burgos; „ Toscjan. La famiglia Micoli Toscano“, cit.pag. 163; „...è interessante notare come nei paesi carnici sia valsa per molto tempo la consuetudine , che va ormai scomparendo, di chiamare abitualmente le persone non tanto con i loro nomi e cognomi anagrafici, bensì col primo nome, o un suo diminutivo, seguito dall’indicazione di un vecchio di casa, o, più frequentemente, da un soprannome o altro appellativo di cui talvolta si è perso il significato originario. Ecco alcuni esempi riferiti a Mione: Adriano da Toi, Anuta dal Prédi, Berto da Burèla, Catina da Feranda, Catina di Zâri, Checo da Gnacùta, Checo da Piròna, Dorina di Loi...“.
[205] Il cognome era documentato anche come Loy e Lois. Nel limitrofo comune di Sanvincenti avevano dato il nome al toponimo Stanzia Lois o Stanzia del Loy usato fino al 1945.
[206] Gianandrea de Gravisi; Scritti editi a cura di Michele Grison, Società di studi storici e geografici di Pirano, 2015, pag. 445-470.
[207] Archivio di Stato di Trieste, Comune di S.Vincenti, Statistica politico-economica.
[208] Ibidem.
[209] Archivio di Stato di Trieste, Catasto franceschino, Comune di S.Vincenti, Protocollo particelle edifici.
[210] Dei 73 edifici gli ultimi 5 per numerazione erano le stanzie situate poco fuori il borgo. Nel 1820 alcune non erano più proprietà dei carnici come la Stanzia Spinotti o la Stanzia De Franceschi. Siccome il territorio di Sanvincenti è diviso in quattro comuni censuari la Stanzia Lupieri invece si trovava nel Comune di Boccordi al numero 1 degli edifici, fisicamente in continuazione al Comune censuario di Sanvincenti a ridosso della strada tra Sanvincenti e Canfanaro.Dopo il 1827 la stanzia era stata abbandonata e la casa colonica non si è conservata fino ad oggi.
[211] Archivio di Stato di Pisino, Sanvincenti, Liber baptizatorum, 18, Cadastre national de l'Istrie, Sušak, 1946, pag. 133.